La Beata Immacolata Concezione
L’Immacolata Concezione (I)
Dagli scritti di Luisa Piccarreta
“Figlia mia, l’Immacolato Concepimento della mia diletta Mamma fu prodigioso ed in tutto
meraviglioso, tanto che Cieli e terra ne stupirono e fecero festa. Tutte e Tre le Divine Persone fecero a gara:
il Padre fece sboccare un mare immenso di Potenza; Io, Figlio, un mare infinito di Sapienza, e lo
Spirito Santo un mare immenso d’eterno Amore, che confondendosi in un solo mare formarono uno
solo, ed in mezzo a questo mare fu formato il Concepimento di questa Vergine, eletta fra le elette.
Sicché la Divinità somministrò la sostanza di questo Concepimento. E non solo era centro di vita di
questa mirabile e singolare creatura, ma questo mare le stava d’intorno, non solo per tenerla difesa da
tutto ciò che potesse ombrarla, ma per darle in ogni istante nuove bellezze, nuove grazie, potenza,
sapienza, amore, privilegi, eccetera. Sicché la sua piccola natura fu concepita nel centro di questo
mare, e si formò e crebbe sotto l’influsso di queste onde divine.
Tanto che, non appena fu formata questa nobile e singolare creatura, (Dio) non volle aspettare
come il solito delle altre creature; voleva i suoi amplessi, il ricambio del suo amore, i suoi baci, godersi
i suoi innocenti sorrisi; e perciò, non appena fu formato il suo Concepimento, le diedi l’uso di ragione,
la dotai di tutte le scienze, le feci conoscere le nostre gioie e i nostri dolori a riguardo della Creazione; e
fin dal seno materno Lei veniva nel Cielo, ai piedi del nostro trono, per darci gli amplessi, il ricambio
del suo amore, i suoi teneri baci, e gettandosi nelle nostre braccia Ci sorrideva con tale compiacenza di
gratitudine e di ringraziamento, da strappare i nostri sorrisi. Oh, come era bello vedere questa
innocente e privilegiata creatura, arricchita di tutte le qualità divine, venire in mezzo a Noi, tutta amore,
tutta fiducia, senza paura, perché solo il peccato è quello che mette distanza tra Creatore e creatura,
spezza l’amore, sperde la fiducia ed incute timore. Sicché Lei veniva in mezzo a Noi come Regina, che
col suo amore, dato da Noi, Ci dominava, Ci rapiva, Ci metteva in festa e si faceva rapitrice di altro
amore; e Noi la facevamo fare, godevamo dell’amore che Ci rapiva e la costituimmo Regina del Cielo e
della terra. Cielo e terra esultarono e fecero festa insieme con Noi, nell’avere dopo tanti secoli la loro
Regina... Il sole sorrise nella sua luce e si credette fortunato nel dover servire la sua Regina col darle la
luce. Il cielo, le stelle e tutto l’universo sorrisero di gioia e fecero festa, perché dovevano allietare la
loro Regina, facendole vedere l'armonia delle sfere e della loro bellezza. Sorrisero le piante, ché
dovevano nutrire la loro Regina; e anche la terra sorrise e si sentì nobilitata nel dover dare l’abitazione
e farsi calpestare dai passi della sua Imperatrice. Solo l’inferno pianse e si sentì perdere le forze dal
dominio di questa Sovrana Signora.
Ma sai tu quale fu il primo atto che fece questa Celeste Creatura quando si trovò la prima volta
innanzi al Nostro trono? Lei conobbe che tutto il male dell’uomo era stato la rottura tra la volontà sua e
Quella del suo Creatore, e Lei ebbe un tremito e, senza frapporre tempo in mezzo, legò la sua volontà ai
piedi del mio trono, senza neppure volerla conoscere; e la mia Volontà si legò a Lei e si costituì centro
di vita, tanto che tra Lei e Noi si aprirono tutte le correnti, tutti i rapporti, tutte le comunicazioni, e non
ci fu segreto che non le affidammo. Fu proprio questo l’atto più bello, più grande, più eroico che fece, il
deporre ai nostri piedi la sua volontà, e che a Noi, come rapiti, Ce la fece costituire Regina di tutti. Vedi,
dunque, che significa legarsi con la mia Volontà e non conoscere la propria?
Il secondo atto fu offrirsi a qualunque sacrificio per amore Nostro. Il terzo, restituirci l’onore, la
gloria di tutta la Creazione, che l’uomo Ci aveva tolto col fare la sua volontà; e fin dal seno materno
pianse per amore Nostro, ché Ci vide offesi, e pianse per dolore dell’uomo colpevole... Oh, come Ci
intenerivano queste lacrime innocenti ed affrettavano la sospirata Redenzione! 3
Questa Regina Ci dominava, Ci legava, Ci strappava grazie infinite; Ci inclinava tanto verso il
genere umano, che non potevamo né sapevamo resistere alle sue replicate istanze. Ma donde le veniva
un tale potere e tanta ascendenza sulla stessa Divinità? Ah, tu l’hai capito: era la potenza del nostro
Volere che agiva in Lei, che mentre la dominava, la rendeva dominatrice di Dio medesimo. E poi, come
potevamo resistere a sì innocente creatura, posseduta dalla Potenza e Santità del nostro Volere?
Sarebbe stato resistere a Noi stessi. Noi scorgevamo in Lei le nostre qualità divine; come onde
affluivano su di Lei i riverberi della nostra Santità, i riverberi dei modi divini, nel nostro Amore, della
nostra Potenza, eccetera, ed il nostro Volere, che ne era il centro, a cui attirava tutti i riverberi delle
nostre qualità divine, si faceva corona e difesa della Divinità abitante in Lei. Se questa Vergine
Immacolata non avesse avuto il Volere Divino come centro di vita, tutte le altre prerogative e privilegi di
cui tanto l’arricchimmo sarebbero stati un bel nulla a confronto di questo. Fu questo che le confermò e
le conservò i tanti privilegi, anzi, in ogni istante moltiplicava dei nuovi.
Ecco, perciò, la causa perché la costituimmo Regina di tutti, perché quando Noi operiamo lo
facciamo con ragione, sapienza e giustizia: perché mai diede vita al suo volere umano, ma fu sempre
integro il nostro Volere in Lei. Come potevamo dire ad un’altra creatura: “Tu sei regina del cielo, del
sole, delle stelle, eccetera”, se invece di avere il nostro Volere per dominio, fosse dominata dal suo
volere umano? Tutti gli elementi, cielo, sole, terra, si sarebbero sottratti al regime e dominio di questa
creatura; tutti avrebbero gridato nel loro muto linguaggio: “Non la vogliamo! Noi siamo superiori a lei,
perché mai ci siamo sottratti dal tuo eterno Volere”. “Quale mi creasti, tale sono”, avrebbero gridato il
sole con la sua luce, le stelle col loro scintillio, il mare con le sue onde, e così tutto il resto. Invece,
come tutti sentirono il dominio di questa Vergine eccelsa, che, quasi come loro sorella, non volle mai
conoscere la sua volontà, ma solo Quella di Dio, non solo fecero festa, ma si sentirono onorati di avere
la loro Regina e corsero intorno a Lei a farle corteggio e a tributarle gli ossequi, col mettersi la luna
come sgabello ai suoi piedi, le stelle come corona, il sole come diadema, gli Angeli come servi, gli
uomini come attendendo... Tutti, tutti le fecero onore e le resero i loro ossequi. Non c’è onore o gloria
che non si possa dare al nostro Volere, sia che agisca in Noi, nella sua propria sede, sia che abiti nella
creatura. Ma sai tu quale fu il primo atto che fece questa nobile Regina quando, uscendo dal seno
materno, aprì gli occhi alla luce di questo basso mondo? Mentre Ella nacque, gli Angeli le cantarono le
ninne alla Celeste Bambina, ed Essa restò rapita e la sua bell’anima uscì dal suo corpicino,
accompagnata da schiere angeliche, e girò terra e Cielo, andando a raccogliere tutto l’Amore che Dio
aveva sparso in tutto il Creato, e penetrando nell’Empireo venne ai piedi del Nostro trono e Ci offrì il
ricambio dell’amore di tutto il Creato e pronunciò il suo primo “grazie” a nome di tutti. Oh, come Ci
sentimmo felici nel sentire il “grazie” di questa Bambinella Regina, e le confermammo tutte le grazie,
tutti i doni, da farle superare tutte le altre creature unite insieme.
Poi, gettandosi nelle Nostre braccia, si deliziò con Noi, nuotando nel pelago di tutti i contenti,
restando abbellita di nuova bellezza, di nuova luce e di nuovo amore; supplicò di nuovo per il genere
umano, pregandoci con lacrime che scendesse il Verbo Eterno per salvare i suoi fratelli. Ma mentre ciò
faceva, il nostro Volere le fece conoscere che scendesse alla terra, e Lei subito lasciò i nostri contenti e
gioie e si partì, per fare... che cosa? Il nostro Volere.
Quale calamita potente era il nostro Volere, abitante in terra in questa neonata Regina! Non Ci
pareva più estranea la terra, non Ci sentivamo più di colpirla facendo uso della nostra Giustizia;
avevamo la Potenza della nostra Volontà, che in questa innocente Bambina Ci spezzava le braccia, Ci
sorrideva dalla terra e cambiava la Giustizia in grazie e in dolce sorriso, tanto che, non potendo
resistere al dolce incanto, il Verbo Eterno affrettò il suo corso. Oh prodigio del mio Volere Divino, a Te
tutto si deve, per Te si compie tutto, e non c’è prodigio più grande del mio Volere abitante nella
creatura!” (15°, 8-12-1922)
San Giuseppe
Vita di San Giuseppe
Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e un temperamento umile, mite e devoto.
Giuseppe era un falegname che abitava a Nazareth. All’età di circa trenta anni fu convocato dai sacerdoti al tempio, con altri scapoli della tribù di Davide, per prendere moglie. Giunti al tempio, i sacerdoti porsero a ciascuno dei pretendenti un ramo e comunicarono che la Vergine Maria di Nazareth avrebbe sposato colui il cui ramo avrebbe sviluppato un germoglio. "Ed uscirà un ramo dalla radice di Jesse, ed un fiore spunterà dalla sua radice" (Isaia). Solamente il ramo di Giuseppe fiorì e in tal modo fu riconosciuto come sposo destinato dal Signore alla Santa Vergine.
Maria, all’età di 14 anni, fu data in sposa a Giuseppe, tuttavia ella continuò a dimorare nella casa di famiglia a Nazareth di Galilea per la durata di un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l’entrata nella casa dello sposo. Fu proprio in questo luogo che ricevette l’annuncio dell’Angelo e accettò: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).
Poiché l’Angelo le aveva detto che Elisabetta era incinta (Lc 1,39), chiese a Giuseppe di accompagnarla dalla cugina che era nei suoi ultimi tre mesi di gravidanza. Dovettero affrontare un lungo viaggio di 150 Km poiché Elisabetta risiedeva ad Ain Karim in Giudea. Maria rimane presso di lei fino alla nascita di Giovanni Battista.
Maria, tornata dalla Giudea, mise il suo sposo di fronte ad una maternità di cui non poteva conoscerne la causa. Molto inquieto Giuseppe combatté contro l’angoscia del sospetto e meditò addirittura di lasciarla fuggire segretamente (Mt 1,18) per non condannarla in pubblico, perché era uno sposo giusto. Infatti, denunciando Maria come adultera la legge prevedeva che fosse lapidata e il figlio del peccato perisse con Lei (Levitino 20,10; Deuteronomio 22, 22-24).
Giuseppe stava per attuare questa idea quando un Angelo apparve in sogno per dissipare i suoi timori: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20). Tutti i turbamenti svanirono e non solo, affrettò la cerimonia della festa di ingresso nella sua casa con la sposa.
Su ordine di un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra (Lc 2,1), Giuseppe e Maria partirono per la città di origine della dinastia, Betlemme. Il viaggio fu molto faticoso, sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità.
Betlemme in quei giorni brulicava di stranieri e Giuseppe cercò in tutte le locande, un posto per la sua sposa ma le speranze di trovare una buona accoglienza furono frustrate. Maria diede alla luce suo figlio in una grotta nella campagna di Betlemme (Lc 2,7) e alcuni pastori accorsero per fargli visita e aiutarli (Lc 2,16).
La legge di Mosè prescriveva che la donna dopo il parto fosse considerata impura, e rimanesse 40 giorni segregata se aveva partorito un maschio, e 80 giorni se femmina, dopo di che doveva presentarsi al tempio per purificarsi legalmente e farvi un’offerta che per i poveri era limitata a due tortore o due piccioni. Se poi il bambino era primogenito, egli apparteneva per legge al Dio Jahvè. Venuto il tempo della purificazione, dunque, si recano al tempio per offrire il loro primogenito al Signore. Nel tempio incontrarono il profeta Simeone che annunciò a Maria: "e anche a te una spada trafiggerà l’anima" (Lc 2,35).
Giunsero in seguito dei Magi dall’oriente (Mt 2,2) che cercavano il neonato Re dei Giudei. Venuto a conoscenza di ciò, Erode fu preso da grande spavento e cercò con ogni mezzo di sapere dove fosse per poterlo annientare. I Magi intanto trovarono il bambino, stettero in adorazione e offrirono i loro doni portando un sollievo alla S. Famiglia.
Dopo la loro partenza, un Angelo del Signore, in apparizione a Giuseppe, lo esortò a fuggire: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e sta la finché non ti avvertirò; perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo" (Mt 2,13).
Giuseppe si mise subito in cammino con la famiglia (Mt 2,14) per un viaggio di circa 500 Km. La maggior parte del cammino si svolse nel deserto, infestato da numerose serpi e molto pericoloso a causa dei briganti. La S. famiglia dovette così vivere la penosa esperienza di profughi lontano dalla propria terra, perché si adempisse, quanto era stato detta dal Signore per mezzo del Profeta (Os XI,1): «Io ho chiamato il figlio mio dall’Egitto» (Mt 2,13-15).
Nel mese di Gennaio del 4 a.C, immediatamente dopo la morte di Erode, un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi il bambino e sua madre e và nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino» (Mt 2,19). Giuseppe obbedì subito alle parole dell’Angelo e partirono ma quando gli giunse la notizia che il successore di Erode era il figlio Archelao ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse quanto era stato detto dai profeti: «Egli sarà chiamato Nazareno» (Mc 2,19-23).
La S. famiglia, come ogni anno, si recò a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Trascorri i giorni di festa, si incamminarono verso la strada del ritorno credendo che il piccolo Gesù di 12 anni fosse nella comitiva. Ma quando seppero che non era con loro, iniziarono a cercarlo affannosamente e, dopo tre giorni, lo ritrovarono al tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo». (Lc 2,41-48).
Passarono altri venti anni di lavoro e di sacrificio per Giuseppe sempre accanto alla sua sposa e morì poco prima che suo figlio iniziasse la predicazione. Non vide quindi la passione di Gesù sul Golgota probabilmente perché non avrebbe potuto sopportare l’atroce dolore della crocifissione del Figlio tanto amato.
GIUSEPPE PADRE TERRENO
Giuseppe fu il padre terreno di Gesù e come tale dovette provvedere alle necessità della famiglia, tutelare e allevare il suo figliolo adottivo, sempre pronto a soddisfare i desideri di Dio conoscendo, in parte, alcuni suoi disegni.
Si prodigò oltre l'umano per non far mancare nulla alla famiglia e, come padre, per insegnare le cose della vita a suo figlio, perché egli doveva, come un fanciullo qualunque, essere sottomesso alla volontà paterna. Iddio non assegnò un padre qualsiasi, ma un'anima pura, perché fosse di sostegno ad una candida sposa e ad un Dio incarnato.
Tanti sottovalutano quello che fu il suo compito: non discusse mai gli ordini impartiti nel sonno, o attraverso i messaggeri di Dio, ma eseguì fedelmente, anche se questo comportava dover abbandonare tutto quello che aveva realizzato in quel momento; le amicizie, gli averi e la sicurezza sociale per affrontare l'ignoto.
La sua fede era tale che non ebbe dubbi o incertezze, andò dove Dio l'inviava col suo fardello, con i suoi tesori costituiti da un'esile madre e da un pargoletto prima, e da un fanciullo poi. Dopo come padre non s'oppose, ma preventivamente assecondò, essendone a conoscenza, i Divini voleri e nel suo animo ardente benedì questo suo figlio, affinché annunciasse con la parola; e nel mondo si compissero i disegni del Padre.
Fu un lavoratore esemplare, un esempio mirabile, portò la famiglia su una nave sicura e seppe guidarla su lidi e porti riparati, anche quando all'esterno v'erano acque tumultuose. Seppe essere un degno compagno per la sua sposa e s'amarono con sentimenti così puri da incantare gli Angeli del cielo.
Oh! voi padri, traete insegnamento da quest'uomo che seppe sì costruire una famiglia umana; applicò ad essa tutte le virtù cui era capace con la sua anima ardente d'amore. Solo l'amore e la fede gli permisero, nel cammino della sua vita, di superare notevoli ostacoli, il peso umano, con il sostentamento, gravava quasi tutto sulle sue spalle, e questo Lui l'ha offerto gioiosamente al suo fanciullo che tanto adorava.
Tanti sottovalutano l'importanza che ha avuto nei disegni di Dio: ma poteva Dio affidare ad un'anima qualunque la responsabilità di padre terreno? Oppure nella sua onniscienza ha scelto un'anima eletta? E nel cielo gli è stato assegnato il posto che gli competeva. Appellatevi tranquillamente a Lui, affinché possa intercedere per voi in tutti i vostri bisogni. Per la sua fedeltà e per il suo amore gli sono state date le potenze d'intercessione e di grazia per tutte le vostre necessità. Sia per voi un modello costante.
Se saprete calcare come padri di famiglia le sue orme, potrete gioire nelle vostre famiglie e sarete guardati benignamente dal cielo, la grazia e la benedizione scenderà su di voi e sulle vostre famiglie. Sarete modelli di rettitudine che scalderà d'amore, non soltanto la vostra famiglia, ma tutte quelle che, sbandate e disperate, desiderano appoggiarsi e sperare negli esempi coerenti.
Nella famiglia affidatevi a Lui, chiedetene il sostegno e pregate, affinché implori su di voi le virtù tanto necessarie per la vostra salvezza.
San Michele Arcangelo
Chi è S. Michele Arcangelo?
Tra gli angeli rifulge per la sua bellezza spirituale uno che la Sacra Scrittura chiama Michele. Era già considerato dagli Ebrei come il principe degli angeli, protettore del popolo eletto, simbolo della potente assistenza divina nei confronti di Israele. Nell'Antico Testamento appare per tre volte, in particolare nel libro di Daniele (Dn 10,13.21; 12,1), dove è stato indicato come il difensore del popolo ebraico e il capo supremo dell'esercito celeste che difende i deboli e i perseguitati.
"Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro". (Dn 12,1)
Il suo nome in ebraico suona Mi - ka - El e significa: Chi è come Dio? A San Michele è attribuito il titolo di arcangelo, lo stesso titolo con cui sono designati Gabriele -forza di Dio e Raffaele - Dio ha curato. Nel Nuovo Testamento, S. Michele Arcangelo è presentato come avversario del demonio, vincitore dell'ultima battaglia contro satana e i suoi sostenitori. Troviamo la descrizione della battaglia e della sua vittoria nel capitolo 12° del libro dell'Apocalisse:
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.
Beata Madre Teresa di Calcutta
Vita
Gonxha (Agnese) Bojaxhiu, la futura Madre Teresa, è nata il 26 agosto 1910 a Skopje (ex Jugoslavia).
Fin da piccola riceve un'educazione fortemente cattolica dato che la sua famiglia, di cittadinanza albanese, era profondamente legata alla religione cristiana.
Già verso il 1928, Gonxha sente di essere attratta verso la vita religiosa, cosa che in seguito attribuirà ad una "grazia" fattale dalla Madonna. Presa dunque la fatidica decisione, è accolta a Dublino dalle Suore di Nostra Signora di Loreto, la cui Regola si ispira al tipo di spiritualità indicato negli "Esercizi spirituali" di Sant'Ignazio di Loyola. Ed è proprio grazie alle meditazioni sviluppate sulle pagine del santo spagnolo che Madre Teresa matura il sentimento di voler «aiutare tutti gli uomini».
Gonxha è attirata dunque irresistibilmente dalle missioni. La Superiora la manda quindi in India, a Darjeeling, città situata ai piedi dell'Himalaia, dove, il 24 maggio 1929, ha inizio il suo noviziato. Dato che l'insegnamento è la vocazione principale delle Suore di Loreto, lei stessa intraprende questa attività, in particolare seguendo le bambine povere del posto. Parallelamente porta avanti i suoi studi personali per poter ottenere il diploma di professoressa.
Il 25 maggio 1931, pronuncia i voti religiosi e assume da quel momento il nome di Suor Teresa, in onore di Santa Teresa di Lisieux. Per terminare gli studi, viene mandata, nel 1935, presso l'Istituto di Calcutta, capitale sovrappopolata ed insalubre del Bengala. Ivi, essa si trova confrontata di colpo con la realtà della miseria più nera, ad un livello tale che la lascia sconvolta. Di fatto tutta una popolazione nasce, vive e muore sui marciapiedi; il loro tetto, se va bene, è costituito dal sedile di una panchina, dall'angolo di un portone, da un carretto abbandonato. Altri invece hanno solo alcuni giornali o cartoni... La media dei bambini muore appena nata, i loro cadaveri gettati in una pattumiera o in un canale di scolo.
Madre Teresa rimane inorridita quando scopre che ogni mattina, i resti di quelle creature vengono raccolte insieme con i mucchi di spazzatura...
Stando alle cronache, il 10 settembre 1946, mentre sta pregando, Suor Teresa percepisce distintamente un invito di Dio a lasciare il convento di Loreto per consacrarsi al servizio dei poveri, a condividere le loro sofferenze vivendo in mezzo a loro. Si confida con la Superiora, che la fa aspettare, per mettere alla prova la sua ubbidienza. In capo ad un anno, la Santa Sede la autorizza a vivere fuori della clausura. Il 16 agosto 1947, a trentasette anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un "sari" (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria. Sulla spalla, un piccolo crocifisso nero. Quando va e viene, porta con sé una valigetta contenente le sue cose personali indispensabili, ma non denaro. Madre Teresa non ha mai chiesto denaro né ne ha mai avuto. Eppure le sue opere e fondazioni hanno richiesto spese notevolissime! Lei attribuiva questo "miracolo" all'opera della Provvidenza...
A decorrere dal 1949, sempre più numerose sono le giovani che vanno a condividere la vita di Madre Teresa. Quest'ultima, però, le mette a lungo alla prova, prima di riceverle. Nell'autunno del 1950, Papa Pio XII autorizza ufficialmente la nuova istituzione, denominata "Congregazione delle Missionarie della Carità".
Durante l'inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi. La porta all'ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l'idea di chiedere all'amministrazione comunale l'attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Una casa che serviva un tempo da asilo ai pellegrini del tempio indù di "Kalì la nera", ed ora utilizzata da vagabondi e trafficanti di ogni sorta, è messa a sua disposizione. Suor Teresa la accetta. Molti anni più tardi, dirà, a proposito delle migliaia di moribondi che sono passati da quella Casa: "Muoiono tanto mirabilmente con Dio! Non abbiamo incontrato, finora, nessuno che rifiutasse di chiedere "perdono a Dio", che rifiutasse di dire: "Dio mio, ti amo".
Due anni dopo, Madre Teresa crea il "Centro di speranza e di vita" per accogliervi i bambini abbandonati. In realtà, quelli che vengono portati lì, avvolti in stracci o addirittura in pezzi di carta, non hanno che poca speranza di vivere. Ricevono allora semplicemente il battesimo per poter essere accolti, secondo la dottrina cattolica, fra le anime del Paradiso. Molti di quelli che riescono a riaversi, saranno adottati da famiglie di tutti i paesi. "Un bambino abbandonato che avevamo raccolto, fu affidato ad una famiglia molto ricca - racconta Madre Teresa - una famiglia dell'alta società, che voleva adottare un ragazzino. Qualche mese dopo, sento dire che quel bambino è stato molto malato e che rimarrà paralizzato. Vado a trovare la famiglia e propongo: "Ridatemi il bambino: lo sostituirò con un altro in buona salute. ? Preferirei che mi ammazzassero, piuttosto che esser separato da questo bambino!" risponde il padre guardandomi, con il volto tutto triste". Madre Teresa nota: "Quel che manca di più ai poveri, è il fatto di sentirsi utili, di sentirsi amati. È l'esser messi da parte che impone loro la povertà, che li ferisce. Per tutte le specie di malattie, vi sono medicine, cure, ma quando si è indesiderabili, se non vi sono mani pietose e cuori amorosi, allora non c'è speranza di vera guarigione".
Madre Teresa è animata, in tutte le sue azioni, dall'amore di Cristo, dalla volontà di «fare qualcosa di bello per Dio», al servizio della Chiesa. "Essere cattolica ha per me un'importanza totale, assoluta, dice. Siamo a completa disposizione della Chiesa. Professiamo un grande amore, profondo e personale, per il Santo Padre... Dobbiamo attestare la verità del Vangelo, proclamando la parola di Dio senza timore, apertamente, chiaramente, secondo quanto insegna la Chiesa".
"Il lavoro che realizziamo è, per noi, soltanto un mezzo per concretizzare il nostro amore di Cristo... Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, vale a dire di Cristo, di cui i poveri sono l'immagine dolorosa...Gesù nell'eucaristia e Gesù nei poveri, sotto le specie del pane e sotto le specie del povero, ecco quel che fa di noi delle Contemplative nel cuore del mondo".
Nel corso degli anni 60, l'opera di Madre Teresa si estende a quasi tutte le diocesi dell'India. Nel 1965, delle Religiose se ne vanno nel Venezuela. Nel marzo del 1968, Paolo VI chiede a Madre Teresa di aprire una casa a Roma. Dopo aver visitato i sobborghi della città ed aver constatato che la miseria materiale e morale esiste anche nei paesi "sviluppati", essa accetta. Nello stesso tempo, le Suore operano nel Bangladesh, paese devastato da un'orribile guerra civile. Numerose donne sono state stuprate da soldati: si consiglia a quelle che sono incinte, di abortire. Madre Teresa dichiara allora al governo che lei e le sue Suore adotteranno i bambini, ma che non bisogna, a nessun costo, "che a quelle donne, che avevano soltanto subito la violenza, si facesse poi commettere una trasgressione che sarebbe rimasta impressa in esse per tutta la vita". Madre Teresa ha infatti sempre lottato con una grande energia contro qualsiasi forma di aborto.
Negli anni 80, l'Ordine fonda, in media, quindici nuove case all'anno. A partire dal 1986, si insedia nei paesi comunisti, fino allora vietati ai missionari: l'Etiopia, lo Yemen Meridionale, l'URSS, l'Albania, la Cina.
Nel marzo del 1967, l'opera di Madre Teresa si è arricchita di un ramo maschile: la "Congregazione dei Frati Missionari". E, nel 1969, è nata la Fraternità dei collaboratori laici delle Missionarie della Carità.
Chiestole da più parti di dove le venisse la sua straordinaria forza morale, Madre Teresa ha spiegato: "Il mio segreto è infinitamente semplice. Prego. Attraverso la preghiera, divento una cosa sola nell'amore con Cristo. PregarLo, è amarLo". Inoltre, Madre Tersa ha anche spiegato come l'amore sia indissolubilmente unito alla gioia: "La gioia è preghiera, perché loda Dio: l'uomo è creato per lodare. La gioia è la speranza di una felicità eterna. La gioia è una rete d'amore per catturare le anime. La vera santità consiste nel fare la volontà di Dio con il sorriso".
Tante volte Madre Teresa, rispondendo a giovani che manifestavano il desiderio di andarla ad aiutare in India, ha risposto di rimanere nel loro paese, per esercitarvi la carità nei riguardi dei "poveri" del loro ambiente abituale. Ecco alcuni suoi suggerimenti: "In Francia, come a New York e dovunque, quanti esseri hanno fame di esser amati: è una povertà terribile, questa, senza paragone con la povertà degli Africani e degli Indiani... Non è tanto quanto si dà, ma è l'amore che mettiamo nel dare che conta... Pregate perché ciò cominci nella vostra propria famiglia. I bambini non hanno spesso nessuno che li accolga, quando tornano da scuola. Quando si ritrovano con i genitori, è per sedersi davanti alla televisione, e non scambiano parola. È una povertà molto profonda... Dovete lavorare per guadagnare la vita della vostra famiglia, ma abbiate anche il coraggio di dividere con qualcuno che non ha ? forse semplicemente un sorriso, un bicchier d'acqua -, di proporgli di sedersi per parlare qualche istante; scrivete magari soltanto una lettera ad un malato degente in ospedale...".
Dopo varie degenze in ospedale, Madre Teresa si è spenta a Calcutta, il 5 settembre 1997, suscitando commozione in tutto il mondo.
Il 20 dicembre 2002 papa Giovanni Paolo II ha firmato un decreto che riconosce le virtù eroiche della "Santa dei Poveri", iniziando di fatto il processo di beatificazione più rapido nella storia delle "cause" dei santi.
Nella settimana che celebrava i suoni 25 anni di pontificato, il 19 ottobre 2003, papa Giovanni Paolo II ha presieduto la beatificazione di madre Teresa davanti a un'emozionata folla di trecentomila fedeli.
Santa Teresina del Bambin Gesù
Vita
Teresa Martin Nasce ad Alencon il 2 gennaio 1873 da Luigi e Zelia Martin e viene battezzata nella chiesa di Notre-Dame il 4 gennaio con i nomi di Maria Francesca Teresa.Teresa è l'ultima di nove figli, ma all'epoca la mortalità infantile era molto alta e quattro figli ( due bambini e due bambine) muoiono in tenera età.Restano 5 figlie: Maria nata nel 1860, Paolina nata nel 1861, Leonia nel 1863, Celina nel 1869 e la piccola Teresa. La famiglia di Teresa era profondamente cattolica comunicando ai figli le loro convinzioni religiose.
Quattro entrarono nel Carmelo di Lisieux e una, Leonia, alla Visitazione di Caen.
Era inoltre una famiglia agiata, gestivano un laboratorio di pizzi ad Alencon.Quando nasce Teresa la famiglia viveva in una bella casa, confortevole e con un bel giardino. Teresa si rivela subito sensibile ma molto testarda.
L'incanto di questa infanzia priva di preoccupazioni si rompe con la morte della mamma a causa di un cancro incurabile la quale muore, dopo mesi di strazio, il 28 agosto 1877. Le figlie si stringono le une alle altre, Celina si butta nelle braccia di Maria dicendo:" Tu sarai mia madre", Teresa fa altrettanto con Paolina: aveva quattro anni e nove mesi.l fratello della mamma, Isidoro Guerin, e soprattutto sua moglie, la zia Elisa, si mettono a disposizione del vedovo per aiutare le figlie. Luigi Martin si trasferisce a Lisieux, una piccola cittadina della Normandia, a nord di Alencon e vanno ad abitare in una villa di periferia, denominata i Buissonnets (piccoli cespugli). La famiglia supera lentamente la perdita della mamma. In quegli anni Teresa vede il mare, fa la sua prima confessione, assiste alla prima comunione di Celina. Nell'ottobre del 1881, Teresa raggiunge Celina presso le suore benedettine come semipensionante. Vi resta per 5 anni ma non si trova a suo agio.In questo periodo si avvicinò alla grazia dell'Eucarestia: fece la prima e la seconda comunione e ricevette il sacramento della confermazione.
A nove anni,quando apprende per puro caso che la sorella Paolina entrerà al Carmelo,pensa seriamente di imitarla e ne parla con madre Maria Gonzaga,superiore del Carmelo di Lisieux. La partenza di Paolina scatena una grossa crisi affettiva che mette a dura prova la salute di Teresa. Inoltre, il giorno di Pasqua del 1883,il papà, Maria e Leonia si recano a Parigi lasciando Teresa e Celina con gli zii.
La crisi raggiunge l'apice, Teresa si sente abbandonata. La coglie un tremore incontrollabile che fa pensare che per lei la morte sia ormai vicina. Le fu vicina Maria che, disperata, chiese alla Vergine la sua guarigione. Il 13 maggio 1883 avvenne il miracolo tanto sperato: ad un tratto la statua si animò e la Vergine, di una bellezza straordinaria, si avvicinò a Teresa e le sorrise. Tutte le pene della ragazza erano improvvisamente sparite. La guarigione,tuttavia,non era ancora completa. Teresa era troppo attaccata alla famiglia per un eccesso di sensibilità ed aveva un amore troppo grande per la mamma morta prematuramente. Quando nel 1885 la sorella Celina terminò gli studi presso le benedettine,il padre dovette ritirare anche lei ed inviarla a lezione private.
D'altro canto la sua fragile psicologia era messa a dura prova: dopo Paolina,aveva lasciato la casa Maria,il suo sostegno,la sua confidente.Teresa dovrebbe odiare il Carmelo,che le sottrae uno a uno i suoi punti di riferimento. Al contrario ella sogna sempre di potervi entrare, non per raggiungere le due sorelle,ma perchè Gesù quì la chiama.La vera guarigione dei suoi traumi infantili la ottiene la notte di Natale 1886.La famiglia al completo è stata alla messa di mezzanotte nella cattedrale di Saint-Pièrre. Al ritorno a casa era prevista un'altra cerimonia: l'apertura dei doni di Natale,contenuti nella magica scarpina nel caminetto della cucina.Ma in quella notte l'incanto si spezza.Mentre Teresa sale la scaletta che porta al primo piano,per cambiarsi d'abito,il papà,stanco,non riesce a trattenersi:" E' una sorpresa troppo puerile per una giovinetta già grande come Teresa;spero che quest'anno sarà l'ultimo!".
Teresa sente,i suoi occhi si riempiono di lacrime,mentre la sorella Celina le dice sottovoce:" Non tornare giù subito;piangeresti troppo guardando le sorprese alla presenza del babbo". Ma Teresa è ormai cambiata:dopo aver deposto il suo mantello,scende con un sorriso smagliante. "Gesù fece in un istante il lavoro che io non avevo saputo compiere in dieci anni,accontentandosi della mia buona volontà che non mi venne mai meno". Aveva superato il suo egocentrismo.
L'anno 1887 è per Teresa un anno di crescita fisica,intellettuale,morale. Ella si rafforza sempre di più nella convinzione che deve entrare al Carmelo più presto possibile per pregare e donare la propria vita per i peccatori.
Di questa vocazione,ella ha già parlato il 29 maggio,domenica di Pentecoste,a suo padre,il quale in un primo momento solleva delle difficoltà per la giovane età della ragazza,ma poi acconsente. Egli permette che Leonia tenti per la seconda volta di accostarsi alla vita religiosa presso la Visitazione di Caen. Al Carmelo di Lisieux,Paolina (divenuta suor Agnese di Gesù) approva il desiderio di Teresa,seguita in questo da tutta la comunità. Invece lo zio Isidoro Guerin,che dopo la morte della mamma è il tutore legale delle sue nipoti, vi si oppone decisamente.Ma c'è un ostacolo ancor più grave,quello del superiore del Carmelo:monsignor Delatroette,che non accetta nessun postulante prima dei ventuno anni. Anche il ricorso al vescovo di Bayeux ottiene un rifiuto. Troppo giovane. Non resta che il ricorso al Santo Padre e questa ragazzina di 14 anni non esita un solo istante a convincere suo padre perché la porti a Roma dal papa.
Il 4 novembre 1887,Louis Martin parte con le figlie Celina e Teresa per un grande viaggio in Italia. A Parigi raggiungono un pellegrinaggio di quasi duecento persone,a cui partecipano parecchi sacerdoti,che vanno a Roma per rendere omaggio a papa Leone XIII.Attraversata la Svizzera, si passa da Milano,Venezia,Padova,Firenze,Loreto.Il 13 novembre arrivano a Roma e si trattengono una decina di giorni.Celina e Teresa sono entusiaste per i ricordi dei martiri e la visita di tante chiese,catacombe e monumenti.Ma il pensiero di Teresa è concentrato sull'udienza del Santo Padre,che ha luogo il 20 novembre. Il pontefice,alla sua richiesta, le disse:" Va bene,voi entrerete se il buon Dio lo vuole."
Grazie all'aiuto di monsignor Reverony il 28 dicembre il vescovo concede l'autorizzazione a Teresa di entrare al Carmelo; cosa che si verificherà il 9 aprile 1888.
Nel viaggio a Roma Teresa aveva visto quanti preti fragili e bisognosi di aiuto spirituale ci fossero; da lì ella decise che una volta entrata al Carmelo avrebbe offerto le sue preghiere per la santificazione del clero.
Al Carmelo (9 aprile 1888-30 settembre 1897)
Ciò che Paolina fece a venti anni e Maria a ventisei, Teresa lo fece a quindici.Il mattino del 9 aprile ella entra al Carmelo di Lisieux per restarvi tutta la vita con il nome di Teresa di Gesù Bambino.
Il Carmelo di Lisieux fu fondato nel 1838. Sorge alle spalle della piccola cappella che contiene le ossa della santa.E' un convento povero e modesto,dalle mura di mattoni rossi.E' a forma di quadrato con un chiostro,che delimita un prato verde e un Calvario.Al di là dell'ala sud del chiostro si estende un bel giardino,con un viale di castagni,lungo il quale le suore passano momenti di distensione.Ma che cosa spinge questa fanciulla di quindici anni a infrangere le griglie di un Carmelo? L'amore e solo l'amore. Teresa vuole questo deserto arido per donare al suo amato Bene la prova del suo grande amore:"Gesù,io voglio amarvi tanto.Amarvi più di quanto non siate mai stato amato".Teresa scrive queste parole nove mesi dopo il suo ingresso al Carmelo:sta per compiere sedici anni.
Teresa non sa che la sua folle avventura d'amore si svolgerà nello spazio temporale di nove anni.Solo Dio lo sa,che prepara in segreto"la più grande santa dei tempi moderni".Se il seme di grano non muore non può dare molti frutti.Teresa vive in una comunità di ventisei religiose,tra le quali le due sorelle Paolina e Maria,con i rispettivi nomi di suor Agnese di Gesù e suor Maria del Sacro Cuore.Da esse,però,prende le distanze,perché è consapevole di essere venuta al Carmelo solo per Gesù.Nei compiti che le affidano(cucito,pulizia del chiostro e delle scale,giardinaggio)non eccelle per perizia.La superiora,madre Maria Gonzaga,è piuttosto esigente e non le risparmia umiliazioni.Ella è sottoposta ad un tormento continuo di punzecchiature di aghi di spillo.Confessa,con amarezza,di provare per le religiose che la circondano una specie di repulsione.Se almeno Gesù la consolasse nella preghiera.Ma il grande amico tace e la lascia nell'aridità.in queste condizioni le due ore del giornaliere di orazione mentale le riescono dure,tanto che spesso è vinta dal sonno.
Nella monotonia di questo primo inverno,il 10 gennaio 1889 brilla un raggio di luce:per la sua vestizione Teresa ha la gioia di avere al fianco il suo re.Il signor Martin conduce all'altare la sua figlia prediletta,in un lungo abito di velluto bianco,con i suoi capelli biondi sciolti sulle spalle.Durante la cerimonia ella veste un saio di colore grigio,lo scapolare del Carmelo, il velo bianco di novizia.Ma ben presto Teresa comprende che il suo sposo chiede molto a coloro che sono scelti da lui.Un mese dopo la festa della vestizione,il signor Martin deve essere internato all'ospedale psichiatrico di Caen."In quel giorno io non avrei potuto soffrire di più".In città si dice che la responsabilità della malattia mentale del signor Martin è delle figlie che l'hanno abbandonato,soprattutto della più giovane che era la sua diletta.E' da quel momento che Teresa si firma:Teresa di Gesù Bambino del Santo Volto. Il Santo Volto!Questa immagine la insegue,come il grido di Gesù dalla croce:"Ho sete".
Durante la malattia del papà si convince sempre più che solo la croce può salvare le anime.Quale migliore preparazione per la sua consacrazione totale e definitiva nella professione perpetua dell'8 settembre 1890? La vigilia è presa dal panico:"E se non avessi la vocazione?".Ma il mattino delle nozze è inondata da un fiume di pace,nonostante l'assenza del padre degente in ospedale.Sul suo cuore porta un biglietto di ventiquattro righe,nel quale ha scritto:" Gesù mio sposo divino,prendimi piuttosto che io compia la più leggera mancanza volontaria.Io cerco solo te".Ella presto compirà 18 anni ma sta passando momenti difficili. Tuttavia non perde nessuna occasione per provare a Gesù il suo amore:rende in segreto dei piccoli servizi alle consorelle,prende il posto-come al lavatoio-che le altre evitano;si presenta con volto sorridente quando ha il cuore gonfio,accetta delle accuse ingiuste. Vi sono delle ore nelle quali sembra che tutto crolli.
Ed è proprio in questo periodo,durante il ritiro spirituale(dal 7 al 15 ottobre 1891),che padre Alessio Prou (francescano) la spinge sulle ali della confidenza e dell'amore.Amore e confidenza:sono le parole della sua vita.I tempi stringono.nell'inverno 1891-1892,una terribile epidemia d'influenza si abbatte sulla comunità.Teresa non è risparmiata e si dona tutta per assistere le sue consorelle:a diciannove anni ella sorprende per la sua maturità di donna.Ma è soprattutto nel suo spirito che si accelera quella corsa da gigante cominciata a quattordici anni,la notte di Natale del 1886.La sorella Paolina,divenuta priora del Carmelo il 20 febbraio 1893,la delega come assistente della maestra alle novizie.Ha solo 20 anni ed è consapevole della sua insufficienza per un compito così delicato,ma si rimette completamente all'aiuto di Dio.Sotto la spinta del nuovo compito elabora (sulla fine del 1894) i primi elementi di una dottrina nuova,ben diritta:la via dell'infanzia spirituale,che consiste nell'abbandonarsi completamente nelle mani del Signore,nel riconoscere la propria fragilità,confidando ciecamente nella bontà di Dio,che è infinita misericordia.
Il 1895 è un anno meraviglioso nella vita di Teresa e sono meravigliosi anche i suoi ventidue anni.Negli anni di sofferenza,trascorsi nel silenzio,nel raccoglimento,nella preghiera ha compreso che la santità non è la scalata dell'Himalaya,ma un ascensore di cui Dio si serve per portarci in alto. Inizia a scrivere la sua autobiografia: Storia di un'anima che,nel linguaggio del Cantico dei cantici,è un inno di riconoscenza all'infinita misericordia di Dio,che l'ha ricolmata di grazie.
Nel giugno 1895,d'improvviso,durante la messa della Trinità,Teresa si sente spinta a offrirsi vittima di olocausto all'amore misericordioso del suo Dio.Nel settembre del 1896 in un documento molto importante scriverà:"Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo,mio Dio,me l'hai dato tu...nel cuore della Chiesa,mia madre,io sarò l'Amore...così sarò tutto...e il mio sogno sarà realizzato".La notte oscura dei sensi
La sera del giovedì santo 3 aprile 1896 Teresa è rimasta a vegliare in coro fino a mezzanotte. Appena coricata sente un gorgoglio alla gola; afferra il fazzoletto; è certamente un fiotto di sangue, ma la lampada è spenta e Teresa non vuol verificare ciò che è contenuto nel fazzoletto. Nella notte del venerdì l'emottisi si ripete. Accoglie queste emottisi con gioia,come segno del suo prossimo ingresso nel cielo.
Ma il giorno di Pasqua seguente,o uno dei giorni successivi,entra in una terribile prova dello spirito.Ella si trova in un tunnel,nel quale alcune voci interiori le sussurrano che tutti i suoi desideri,la piccola via,la sua offerta all'Amore misericordioso,tutta la sua vita spirituale sono una completa illusione.Ella deve morire giovane per niente.
La prova dura diciotto mesi fino alla sua morte.Ella si sedette alla mensa dei peccatori per condividere la loro condizione e aprire loro le porte della salvezza.Nel frattempo la tubercolosi la corrode dal di dentro,ma nessuno si rende conto della gravità delle sue condizioni di salute;tanto che nel novembre del 1896 ancora resta in vita l'ipotesi ch'ella possa partire per il Carmelo di Saigon o di Hanoi.Ma proprio sulla fine del 1896 la sua salute peggiora,riprende a tossire e l'idea di trasferirla in Estremo Oriente viene accantonata.Nella Quaresima del 1897,Teresa ha voluto osservare le prescrizioni penitenziali richieste dalla regola,compreso il digiuno,ma la sua salute ne risente notevolmente.A poco a poco viene esonerata da tutte le occupazioni:l'ufficio in coro,il lavoro alla lavanderia,l'impegno del noviziato,anche dalle ricreazioni.A partire dal 6 aprile suor Agnese comincia ad annotare le parole della sorella.Con il 6 luglio riprendono le emottisi,di conseguenzza il giorno 8 la trasportano in infermeria al pian terreno.E' in questa circostanza che pronuncia la famosa frase,che Bernanos mette sulle labbra del curato di Ambricourt morente:" Tutto è grazia ". Teresa sembra alla soglia della morte,ma il suo organismo giovane ha un sussulto di vitalità.Alla fine di agosto l'ammalata,troppo debole per scrivere e per parlare,entra nel silenzio;si avvicina alla fine fra sofferenze indicibili,tanto che esclama:"Se questa è l'agonia,che cos'è la morte?"
Una cancrena le prende l'intestino ed è sempre esposta al pericolo del vomito,tanto che si trova in difficoltà per assumere la comunione.Il 30 luglio alle ore 18 riceve l'estrema unzione e il viatico.Prima di morire può comunicarsi un'altra volta,il 19 agosto,offrendo la comunione per il ritorno di padre Giacinto Loyson,un carmelitano che aveva lasciato la Chiesa.si spegne il giovedì 30 settembre 1897 alle ore 19,20.
Le sue ultime parole furono:" Mio Dio,io vi amo".Aveva 24 anni e nove mesi.In questo stesso giorno veniva battezzato Paolo VI.La salma,come di consueto,viene esposta nel coro;dietro le griglie sfilano parenti ed amici.I funerali si svolgono il 4 ottobre,lunedì,nel cimitero della città.Sono presenti una quarantina di persone.
L' uragano di gloria
In un breve spazio di tempo Teresa acquista una grande celebrità.A un anno esatto dalla sua morte,viene pubblicata la sua autobiografia,la Storia di un'anima,con una tiratura di duemila copie.L'anno dopo se ne fa una seconda edizione;nel 1900 ne vengono venduti seimila esemplari.La prima traduzione è in inglese (1901);seguono la polacca (1902);l'italiana e l'olandese (1904);la tedesca,la portoghese e la spagnola,la giapponese ,la russa (1905).Oggi è tradotta in più di quaranta lingue e dialetti.
La tomba di Teresa richiama molti fedeli. Il 26 maggio 1908 avviene un miracolo strepitoso:una bambina di quattro anni,cieca dalla nascita,acquista la vista.I miracoli si moltiplicano,i pellegrini vengono sempre più spesso al cimitero di Lisieux.Treni speciali sono diretti a Lisieux.il 24 agosto 1913 viene organizzato un importante pellegrinaggio di militari sulla tomba di Teresa.
Il 6 settembre 1910 viene operata la prima esumazione,alla presenza di 500 persone.Il 26 marzo 1923 i resti mortali vengono traslati al Carmelo.Il merito della rapidità della glorificazione di Teresa va ai tre papi sotto i quali si svolsero i processi di canonizzazione:Pio X,Benedetto XV,Pio XI.A far decollare le iniziative per il processo fu Pio X il 3 agosto 1910.Fu lui che definì Teresa la più grande santa dei tempi moderni.A soli tredici anni dalla morte,il 3 agosto 1910 si aprì a Bayeux il processo informativo ordinario.La guerra rende difficile lo svolgimento dell'inchiesta.Il 17 marzo 1915,su ordine di Benedetto XV,si apre a Bayeux il nuovo processo apostolico che si chiude il 30 ottobre 1917 nella cattedrale di Bayeux dopo 91 sessioni.Benedetto XV esenta la causa di beatificazione di Teresa dalla dilazione di 50 anni fra la morte e la proclamazione a beata.Ma la gioia di proclamarla beata il 29 aprile 1923 spetterà a Pio XI.Egli fa di Teresa la "stella del suo pontificato" e il 17 maggio 1925 nella gloria del Bernini,davanti a 50.000 persone,la proclama santa;mentre in piazza San Pietro si accalcano 500.000 persone.Due anni più tardi,il 14 dicembre 1927,il medesimo pontefice proclama santa Teresa di Gesù Bambino del Santo Volto patrona principale delle missioni, a pari grado di San Francesco Saverio;mentre il 3 maggio 1944 (prima della liberazione della Francia) la proclama "patrona secondaria della Francia" a pari grado di santa Giovanna d'Arco,essendo Notre-Dame la patrona principale.
Ora,nel primo centenario della morte (nel 1997 n.d.r.) molti devoti confidano che venga proclamata,come Caterina da Siena e Teresa d'Avila,dottore della Chiesa.
San Giovanni Paolo II
Sua Santità San Giovanni Paolo II
Breve Biografia
Karol Józef Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha.
Successivamente fu inviato a Roma, dove , sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di S. Cesareo in Palatio, Diaconia elevata pro illa vice a Titolo Presbiterale.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).
Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994.
Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi.
Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.
Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.
Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.
A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.
Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro.
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma.
Breve Biografia
Karol Józef Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha.
Successivamente fu inviato a Roma, dove , sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di S. Cesareo in Palatio, Diaconia elevata pro illa vice a Titolo Presbiterale.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).
Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994.
Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi.
Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.
Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.
Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.
A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.
Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro.
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma.
SAN LUIGI MARIA DA MONTFORT
Beatificato da Papa Leone XIII il 22 gennaio 1888, Papa Pio XII lo eleva alla gloria degli altari il 20 luglio 1947.
Il più alto riconoscimento della dottrina spirituale di Grignion da Montfort, che molti vorrebbero fosse dichiarato Dottore della Chiesa, è venuto da Papa Giovanni Paolo II il quale, oltre a trarre il motto del suo pontificato, Totus tuus, proprio dagli scritti del santo, nell'enciclica Redemptoris Mater, del 25 marzo 1987, lo indica come testimone e come guida della spiritualità mariana. Inoltre, il 20 luglio 1996 ha stabilito che il suo nome fosse iscritto nel Calendario generale della Chiesa, proponendone quindi la venerazione a tutti i fedeli.
Tuttavia, per oltre un secolo dopo la morte, l'influenza del "buon padre di Montfort", come il santo era chiamato comunemente dai fedeli, si manifesta soprattutto grazie alle sue fondazioni, fra cui anche quella dei Fratelli dell'Istruzione cristiana di San Gabriele, riorganizzata dal sacerdote Gabriel Deshayes (1767-1841). Queste istituzioni, inizialmente poco consistenti e oggetto di violenti attacchi da parte di giansenisti e di razionalisti nonché di persecuzioni durante la Rivoluzione francese e a opera della massonica Terza Repubblica francese, avranno nel tempo un grande sviluppo, segno del fecondo lascito spirituale del loro fondatore.
In particolare, l'opera missionaria di Montfort e dei suoi successori porrà le basi spirituali della resistenza contro-rivoluzionaria delle genti della Bretagna e della Vandea, cioè delle regioni nelle quali egli poté svolgere liberamente il suo apostolato. I sacerdoti della Compagnia di Maria furono le guide spirituali di quei coraggiosi improvvisatisi soldati per Dio, per la Francia e per il re, e i canti composti da Luigi Maria Grignion si contrapposero a quelli rivoluzionari.
Il ritrovamento fortuito, nel 1842, del manoscritto del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, sepolto per oltre un secolo "nel silenzio d'un cofano", secondo la profetica visione del suo autore, dà inizio alla diffusione delle opere e del pensiero monfortano in tutto il mondo. Nel Trattato Montfort raccomanda che i devoti si consacrino interamente a Gesù attraverso Maria nelle forme di un'amorosa schiavitù, cioè di una dedizione di mirabile radicalità, comprendente non solo i beni materiali dell'uomo ma anche il merito delle sue buone opere e preghiere. In cambio di questa consacrazione la Vergine agisce nell'interiorità della persona in modo meraviglioso, istituendo con lei un'unione ineffabile. L'opera, insieme a Il segreto di Maria - stampato integralmente soltanto nel 1898 ma pubblicato ormai in trecentocinquanta edizioni e in venticinque lingue - e con Le glorie di Maria, di sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), rappresenta uno dei libri mariani più conosciuti e amati degli ultimi secoli, e fra quelli che più hanno alimentato la pietà cristiana.
Santa Faustina Kowalska - apostola della Misericordia di Dio
Faustyna Helena Kowalska , nasce il 25.8.1905 a Glogowiec in Polonia. Non termina gli studi elementari e nel 1919 va a servizio presso gente conosciuta dalla famiglia, per quadagnarsi qualcosa ed aiutare la famiglia.
Nel 1920 dichiara alla mamma che vuole andare in convento, ma i genitori sono contrari.
Va in servizio domestico presso vari luoghi e finalmente, dopo tanti rifiuti, il 1° agosto 1925 è ammessa come postulante nella Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia e inizia a lavorare nella cucina. Faustyna ha un temperamento amabile ma ha una personalità determinata, equilibrata e alle doti spirituali unisce anche intelligenza
(anche se non ha studiato), coraggio d'animo e forza di volontà.
Ma sopratutto ha una vita intima ricca, gode della presenza di Dio, e ha una grande fiducia nella Sua misericordia.
La sua fede viva commuove Gesù che apprezza molto.
Gode di grazie mistiche e di visioni, è visitata dall'angelo custode, ma attraversa anche una dolorosa notte dello spirito.
Il 22 febbraio 1931 ha una visione di Gesù che le ordina di dipingere un'immagine secondo il modello che vede e le parla della Misericordia, costituendola strumento eletto dall'eternità per comunicare al mondo questa "devozione".
"Voglio che l'immagine.....ha detto Gesù a suor Faustina - venga solennemente benedetta nella prima domenica dopoPasqua : questa domenica deve essere la festa della Misericordia .....In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine." "La mia misericordia agisce in tutti i cuori che le aprono la porta".
La festa della Divina Misericordia deve essere preceduta da una novena da iniziarsi il venerdì santo assieme alla coroncina della Misericordia (coroncina che S. Faustina recitava spesso per gli agonizzanti ma anche per i bisogni temporali non suoi).
Il Signore Le dice : "Figlia mia, esorta le anime a recitare la coroncina che ti ho dato. Per la recita di questa coroncina Mi piace concedere tutto ciò che mi chiederanno".
Dopo tante preghiere la nostra santa ha la grazia di avere un direttore spirituale santo, sperimentato, dotto, don Michele Sopocko (a proposito di don Sopocko vedi all'ultima pagina del sito la sua foto e i suoi dati).
Senza un direttore spirituale, scrive Faustina, si può andare facilmente fuori strada.
Gesù desidera anche la fondazione di una nuova congregazione, il cui scopo doveva essere quello di impetrare la Divina Misericordia per il mondo; solo dopo la morte di suor Faustina grazie all'interessamento di don Sopocko sorge questa nuova congregazione (Congregazione delle Suore di Gesù Misericordioso).
Assiste spesso in spirito le anime degli agonizzanti ed ottiene loro la fiducia nella divina misericordia.
A questo proposito S. Faustina scrive che la misericordia di Dio talvolta raggiunge il peccatore all'ultimo momento, in modo singolare e misterioso.
L'anima viene illuminata dal raggio di una vigoroso ultima grazia divina, (quando all'esterno tutto sembra perduto).
E' molto devota alla Madonna, che le appare diverse volte e la incoraggia e a San Giuseppe, che la sollecita ad avere per lui una devozione costante (giornaliera).
Le appare Santa Barbara vergine che la invita a fare una novena per la sua patria, la Polonia. Santa Faustina ama la sua patria, la Polonia (forse anche noi dovremo amare di più la nostra patria e pregare per essa).
Dio è sdegnato con Varsavia per i peccati che si commettono (l'aborto) e chiede riparazione.
E' assistita dall'angelo custode e da uno dei sette spiriti che stano davanti al trono di Dio.
Sotto la guida di un'angelo venne condotta nell'inferno.
"Io Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l 'inferno c'é " .
In spirito vede anche il paradiso .
San Michele Arcangelo le appare e le assicura la sua protezione costante contro le forze del male, che la odiano fortemente.
Essendo impossibilitata di ricevere la comunione, per tredici giorni un angelo serafino la comunicò.
Ha fenomeni di bilocazione, comunicazioni con gli spiriti celesti e del purgatorio, grande carisma di intercessione per le anime.
Scrive Suor Faustina alcuni mesi prima di morire: " Dato che ora non posso dormire di notte neppure un pò perchè i dolori non me lo permettono, visito tutte le chiese e cappelle e, sebbene per poco tempo, adoro il SS. Sacramento. Quando torno nella mia cappella (di Cracovia), prego per certi sacerdoti che annunciano e diffondono la Misericordia di Dio, per le intenzioni del Santo Padre e per i peccatori".
Gesù si compiace della misericordia di questa sua umile e modesta serva ed un giorno venne alla porta del convento (Faustina in quel periodo era portinaia) sotto l'apparenza di un giovane povero, macilento con i vestiti a brandelli, scalzo ed a capo scoperto, infreddolito.
Chiese di poter mangiare qualcosa di caldo; la nostra suora trovò in cucina un pò di minestra che, riscaldata e arricchita di un pò di pane sminuzzato,venne offerta al poverello, poverello che dopo aver mangiato e aver consegnato la scodella vuota si rivela come il Signore, sceso dal Suo trono (dopo aver udito le benedizioni dei poveri che ricevevano isericordia da questa straordinaria portinaia) per assaggiare......il frutto della misericordia di questa sua serva.
Questo episodio l'ho riportato per evidenziare come Gesù ci è vicino ed apprezza le opere di misericordia che possono essere di varie specie (azioni, parole, preghiere).
Subisce dispetti da alcune consorelle, invidiose.
A tal proposito scrive la santa : "Una certa suora mi perseguita di continuo per il fatto che Dio ha rapporti così stretti con me. A lei sembra che tutto ciò sia una finzione da parte mia. Quando ritiene che io abbia commesso qualche mancanza dice: <hanno le visioni e commettono colpe di questo genere>" . Ne ha parlate in giro alle altre suore con un'interpretazione sempre sfavorevole; diffonde prevalentemente l'opinione che si tratti di una mezza pazza. Un giorno mi diede fastidio che quella goccia di intelligenza umana indagasse a tal modo sui doni di Dio. Dopo la Santa Comunione pregai perchè Iddio la illumisasse. Conobbi tuttavia che quell'anima, se non cambia la sua disposizione interiore, non giungerà alla perfezione.
San Filippo Neri
L'uomo che sarebbe stato chiamato "l'Apostolo della città di Roma" era figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell'attività di suo padre; ma aveva subito l'influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all'età di diciott'anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra ? g?ovam della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un'estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani.
Sopra la chiesa fu costruito un oratorio in cui si tenevano conferenze religiose e discussioni e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi; là, inoltre, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate da solisti e da un coro (da qui il nome "oratorio"). San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell'Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria "in Vallicella". Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
Ma san Filippo non sfuggì alle critiche e all'opposizione: alcuni furono scandalizzati dall'anticonvenzionalità dei suo discorsi, delle sue azioni e dei suoi metodi missionari. Egli cercava di restituire salute e vigore alla vita dei cristiani di Roma in modo tranquillo, agendo dall'interno; non aveva una mentalità clericale, e pensava che il sentiero della perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle monache. Nelle sue prediche insisteva più sull'amore e sull'integrità spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l'uomo, umiltà e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza - "riso" è una parola che compare spesso quando si tratta di san Filippo Neri.
Sant' Annibale Maria Di Francia
Sant’Annibale Di Francia nacque a Messina il 5 luglio 1851 da una famiglia della nobiltà cittadina. Giovanissimo, mentre era in adorazione dinanzi all’Eucaristia, sentì chiara la vocazione al sacerdozio, che egli stesso definì “improvvisa, irresistibile, sicurissima”. Tale chiamata si sviluppò e crebbe nella piena comprensione della primaria importanza della preghiera per le vocazioni prima che la scoprisse nel comando di Gesù, riportato nel Vangelo: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9, 37-38; Lc 10, 2).
Annibale era ancora Diacono quando un incontro provvidenziale con un mendicante lo portò alla scoperta drammatica delle “Case Avignone”, il quartiere più povero e malfamato di Messina, ritenuto da tutti “terra maledetta” perché costituiva un covo di ogni miseria morale e materiale. Dopo l’ordinazione sacerdotale (16 marzo 1878), ottiene dal suo Vescovo di stabilirvisi, facendone il campo del suo apostolato di promozione umana e di evangelizzazione di quella povera gente, volendo così condividere la compassione di Cristo per quelle folle stanche e abbandonate come gregge senza pastore (cf. Mt 9, 36). Fu proprio lì che il Di Francia iniziò le opere di soccorso e di educazione dell’infanzia e della gioventù maschile e femminile, fondando gli Orfanotrofi Antoniani per accogliere e promuovere “civilmente e religiosamente”, come ci teneva a sottolineare, i più bisognosi. Per mantenerli egli, di famiglia nobile, si fece mendicante, andando di porta in porta a chiedere aiuti e sovvenzioni. Tali Istituti poi si svilupparono in laboratori di arti e mestieri, collegi, centri di formazione professionale, colonie agricole e scuole di ogni tipo.
Sacerdote zelante, poeta prolifico, giornalista battagliero, predicatore dalla parola facile e convincente, Padre Annibale nella sua vita terrena ha saputo conciliare in un unico termine il binomio azione-contemplazione, mostrando la sua completezza di uomo spirituale, attivo ed instancabile, ma dotato di una intensa capacità contemplativa. Coltivò e predicò l’amore per la parola di Dio, per l’Eucaristia, per la Vergine Maria, per i Santi e la Chiesa, manifestando verso il Papa ed i Vescovi uno spirito di obbedienza e di particolare rispetto fino alla venerazione.
Tormentato dal pensiero che nel mondo vi erano milioni e milioni di persone bisognose di pane materiale e spirituale, afflitto per la scarsità di anime generose che si dedicassero alla loro salvezza spirituale e materiale, il Di Francia trovò la risposta nel comando di Gesù: Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe, convinto che le vocazioni dei nuovi apostoli sono dono di Dio e frutto della preghiera. Egli, già d’allora, considerò operai della messe non soltanto i sacerdoti ed i consacrati, ma anche tutti coloro che sono chiamati ad impegnarsi in attività a beneficio del prossimo nella chiesa e nella società: genitori, insegnanti, governanti.
Il Rogate (la preghiera per le vocazioni) divenne il programma della sua vita, “idea-risorsa e chiodo fisso” per tutte le sue opere. Attratti dal suo carisma, uomini e donne si unirono a lui. Padre Annibale fondò le due Congregazioni delle Figlie del Divino Zelo (1887) e dei Rogazionisti (1897), che esprimono con un quarto voto l’impegno di pregare e di agire in attività specifiche per le vocazioni con centri di spiritualità, di discernimento e di promozione vocazionale, con attività editoriali e con seminari.
L’esperienza spirituale di Padre Annibale e la sua speciale missione sono oggi condivise anche da numerosi laici, uomini e donne, che si impegnano a vivere lo spirito del “Rogate” nella Chiesa in forma privata o associata. Tra le diverse associazioni laicali vi è quella delle Missionarie Rogazioniste, costituita da donne che vivono la consacrazione nel mondo attraverso la professione dei consigli evangelici e del quarto voto del Rogate.
Il Di Francia, nell’impegnarsi ed impegnare alla preghiera per le vocazioni, tende a fare comprendere che chi domanda al Signore di provvedere la sua Chiesa di operai della messe, chiede non soltanto che essi siano numerosi, ma soprattutto che siano santi. Inoltre, egli insinua che chi prega per le vocazioni deve mettersi in prima persona in ascolto di Dio che chiama, pronto a dire: “Eccomi, Signore, se vuoi, manda me”.
Perciò, Padre Annibale, chiamato a ragione “vero padre degli orfani e dei poveri”, volle che i membri degli Istituti da lui fondati esprimessero concretamente il loro impegno per le vocazioni facendosi essi stessi operai della messe preferibilmente a favore dei piccoli e dei poveri in tutte le possibili attività di carità spirituale e materiale: orfanotrofi, scuole, istituti professionali, centri per portatori di handicap.
Il Di Francia, pur essendo un uomo di azione, visse in un crescente ed eroico esercizio di tutte le virtù cristiane, che convogliava nello zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Innamorato a sua volta di Cristo, suo motto e sua esortazione era: Innamoratevi di Gesù Cristo.
Padre Annibale, bruciato dall’amore di Dio e del prossimo, spende la sua vita nell’adoperarsi instancabilmente affinché si obbedisca al comando di Gesù: Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. Perciò compone, stampa e diffonde preghiere a tale scopo in varie lingue. Sollecita Papi e Vescovi a farsene maggior carico. Istituisce per la Gerarchia la Sacra Alleanza sacerdotale e per i laici la Unione di preghiera per le vocazioni. Impegna i suoi figli e figlie spirituali affinché, con tutti i mezzi a disposizioni, si adoperino a far sì che questo spirito di preghiera divenga “incessante ed universale”. Il suo anelito ha trovato finalmente la massima rispondenza ecclesiale nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, istituita da Paolo VI nel 1964.
Logorato dalle fatiche e pieno di meriti, si spense a Messina il 1° giugno 1927, confortato dalla visione della Vergine Maria, sempre da lui amata, lodata e venerata. L’espressione più ricorrente, ascoltata durante e dopo i funerali, fu: “E’ morto il Santo”.
La Chiesa onora Annibale Di Francia con il titolo di “insigne apostolo della preghiera per le vocazioni”. Giovanni Paolo II, che lo ha proclamato Beato il 7 ottobre 1990, lo ha dichiarato “autentico anticipatore e zelante maestro della moderna pastorale vocazionale”, e il 16 maggio 2004 lo ha iscritto nell’albo dei Santi.
Santa Giuseppina Bakhita
Nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947. Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.
La Madre Moretta
A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora 'la nostra Madre Moretta'. Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù. La divina Provvidenza che 'ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria', ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.
In schiavitù
Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome. Bakhita, che significa 'fortunata', è il nome datole dai suoi rapitori. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.
Verso la libertà
Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre. Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.
In Italia
Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova 'famiglia' nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica. L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina 'sentiva in cuore senza sapere chi fosse'. 'Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio'.
Figlia di Dio
Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: 'Qui sono diventata figlia di Dio!'. Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sè per vie misteriose, tenendola per mano. Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.
Figlia di Maddalena
Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa. L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, 'el me Paron'. Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia. Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.
Testimone dell'amore
La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore. 'Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!'. Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: 'Come vol el Paron'.
L'ultima prova
Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e pi? volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: 'Mi allarghi le catene...pesano!'. Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: 'La Madonna! La Madonna!', mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore. M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua 'Santa Madre Moretta' e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.
Santa Veronica Giuliani
Questa straordinaria mistica è nata il 27-12-1660 a
Mercatello sul Metauro, nella diocesi di Urbania (Pesaro), dal capitano Francesco e da Benedetta Mancini. La sua vita fu un susseguirsi di meraviglie.
Battezzata con il nome di Orsola, a soli cinque mesi prese a camminare da sola per recarsi a venerare un quadro raffigurante la SS. Trinità. Non aveva ancora
sette mesi quando ammonì un negoziante poco onesto: "Fate la giustizia, che Dio vi vede". A due o tre anni cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria, che le sorridevano e rispondevano dalle immagini appese alle pareti di casa mentre ella esclamava: "Gesù bello! Gesù caro! Io ti voglio tanto bene".
Durante la Messa, al momento dell'elevazione, nell'ostia vedeva quasi sempre
Gesù che l'invitava a sé. "Oh, bello!... Oh, bello!..." gridava la piccina, e si
slanciava verso l'altare. Quando il sacerdote portò il viatico a sua madre,
Orsola vide l'ostia sfolgorante di luce. A mani giunte supplicò: "Date anche a
me Gesù".
Appena la morente si comunicò, le si pose accanto, sul letto, esclamando:
"Oh, che cosa bella avete voi avuto, mamma! Oh, che odore di Gesù!". Prima di morire la pia genitrice chiamò le sue cinque figlie attorno a sé e a ciascuna assegnò una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. Ad Orsola, di sei anni, toccò quella del S. Cuore.Nella fanciullezza, sentendo leggere la vita dei martiri, la santa concepì grande desiderio di patire per amore di Gesù. Una volta mise di proposito una manina nel fuoco di uno scaldino e se la scottò tutta senza versare lacrime. Si disciplinava con una grossa corda; camminava sulle ginocchia; disegnava croci in terra con la lingua; stava lungamente a braccia aperte in forma di croce; si pungeva con gli spini; si costruiva croci sproporzionate alle sue spalle, bramosa di fare tutto quello che aveva fatto il Signore il quale, nella settimana santa, le si faceva vedere coperto di
piaghe.Per amor di Dio, Orsola aveva compassione dei poverelli ai quali donava generosamente quello di cui disponeva. Scriverà più tardi: "Mi pareva di vedere nostro Signore, quando vedevo essi". Col passare degli anni crebbe in lei sempre più la brama di fare la prima Comunione. Supplicava Maria SS.: "Datemi cotesto vostro Figlio nel cuore!... io sento che non posso stare senza di Lui!" Fu soddisfatta il 2-2-1670 a Piacenza, dove suo padre si era trasferito in qualità di Sopraintendente alle Finanze presso la corte del Duca Ranunzio II. Gesù allora le disse: "Pensa a me solo! Tu sarai la mia sposa diletta!". Ma come lasciare il mondo se la sua bellezza le attirava le più vive simpatie di giovani distinti? Al babbo che l'adorava un giorno disse: "Come posso ubbidirvi, se il Signore mi vuole sua sposa?... Anch'Egli è mio padre, e Padre supremo. Non solo gli debbo ubbidire io, ma ancor voi",Dopo aver mutato il nome di Orsola in Veronica, il 17-7-1677 riuscì a entrare, diciassettenne, nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello (Perugia). E impossibile descrivere il cumulo di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargì incessantemente alla sua "diletta". I fenomeni mistici che in lei si verificarono furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti. Dal 1695 al 27-2-1727, nonostante la grandissima ripugnanza che provava, la santa scrisse, senza rileggerle, in un Diario le
fasi e le esperienze della sua vita interiore per obbedienza al vescovo, Mons.
Eustachi, e al confessore del monastero, il P. Ubaldo Antonio Cappelletti,
filippino. Riempì 21.000 pagine raccolte in 44 volumi, pubblicati dal 1895 al
1928 dal P. Luigi Pizzicarla SJ., con versioni in francese e spagnolo.Dopo che Gesù elevò Suor Veronica al suo mistico sposalizio, fu soddisfatta nella sua ardente brama di patire per Lui. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò a uno a uno tutti i martiri e gli oltraggi della sua Passione. Di continuo esclamava: "Le croci e i patimenti son gioie e son contenti". Giunse a dire: "Né patire, né morire, per più patire". Accoratamente diceva a Gesù: "Sitio! Sitio! Ho sete non di consolazioni, ma di amaritudine e di patimenti". Si può dire che fin dall'infanzia pregasse: "Sposo mio, mio caro bene, crocifiggetemi con Voi! Fatemi sentire le pene e i dolori dei vostri santi piedi e delle vostre sante mani... Più non tardate! Passate da parte a parte questo mio cuore".Nel 1694 divenne maestra delle novizie e ricevette nel capo l'impressione delle spine. Dopo tre anni di digiuno a pane e acqua, il venerdì santo del 1697 le apparvero le stimmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. "In un istante, scrisse la santa, vidi uscire dalle sue santissime piaghe cinque raggi splendenti; tutti vennero alla mia volta; e
io vedevo i detti raggi divenire come piccole fiamme. In quattro vi erano i chiodi e in uno la lancia d'oro, ma tutta infuocata, e mi passò il cuore da banda a banda, e i chiodi passarono le mani e i piedi". Per questo soffriva talmente, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la "sposa del crocifisso".Il vescovo di Città di Castello, al corrente dei fenomeni soprannaturali che avvenivano in Suor Veronica, dopo un rapporto al S. Ufficio, ricevette istruzioni che applicò con la più grande severità. Accompagnato da sacerdoti sperimentati, si recò nel monastero e si convinse della realtà delle stimmate. Alcuni medici ne curarono le ferite per sei mesi. Dopo ogni medicazione le mettevano guanti alle mani muniti di sigilli. Ma le
ferite, invece di guarire, s'ingrandivano di più. La badessa ricevette dal
vescovo ordini destinati a provare la pazienza, l'umiltà e l'obbedienza della santa nella maniera più sensibile. Le fu tolto l'ufficio di maestra delle novizie; fu dichiarata scaduta dal diritto di voto attivo e passivo; le fu proibita ogni relazione con le altre suore; colpita da interdetto non fu più ammessa all'ufficio in coro né alla santa Messa; fu privata persino della Comunione e per cinquanta giorni fu chiusa in una cella simile ad una prigione. Insomma, di proposito, fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda. Il Vescovo al S. Ufficio non poté fare altro che scrivere: "Veronica obbedisce ai miei ordini nella maniera più esatta e non mostra, riguardo a questi duri trattamenti, il più leggero segno di tristezza, ma al contrario, una tranquillità indescrivibile e un umore gioioso".
A queste sofferenze univa di continuo indicibili penitenze, accesissime preghiere per la conversione dei peccatori. "M'ha costituita mediatrice fra Lui e i peccatori. Questo è il primo offizio che Iddio mi ha dato" scriveva. Continui suffragi offriva alle anime dei defunti. Confidò nel Diario: "Mi ha promesso Iddio la grazia di liberare quante anime voglio dal Purgatorio". Aveva continuamente presenti al suo spirito pure i bisogni di tutta la Chiesa e specialmente dei sacerdoti.
Sottomessa sempre in vita ai superiori, la santa volle morire il 9-7-1727, dopo 33 giorni di malattia, appena il confessore, il P. Guelfi, le disse: "Suor Veronica, se è volontà di Dio che l'ordine del suo ministro intervenga in quest'ora suprema, vi comando di rendere lo spirito". Quando morì era badessa da undici anni. Nel suo cuore verginale furono trovati scolpiti gli emblemi della passione così come li aveva descritti e persino disegnati per ordine del confessore. Il suo corpo è venerato sotto l'altare maggiore della chiesa delle Cappuccine in Città di Castello. Pio VII la
beatificò il 18-6-1804 e Gregorio XVI la canonizzò il 26-5-1839.
San Francesco da Paola
La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto “Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il ‘Poverello’ di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani, il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l’ascesso scomparve completamente.
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.
In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.
Un’altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell’incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella ‘Città eterna’ mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini.
Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell’eremo fondato nel 528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all’interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.
Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò “Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata “l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l’ambiente; il prelato lo rimproverò per l’eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l’aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.
Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata.
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, ‘risuscitò’ il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un’altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all’eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un’età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: “Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell’Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest’ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati “Minimi”, approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d’osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell’Italia Meridionale, ne è testimonianza l’afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei ‘Minimi’.
Santa Rita Da Cascia Avvocata nei casi impossibili
Santa Rita è una delle Sante più amate oggi, oggetto di una straordinaria devozione popolare, perché amata dal popolo che la sente molto vicina per la sua stupefacente "Normalità" dell'esistenza quotidiana da Lei vissuta, prima come sposa e madre, poi come vedova e infine come monaca agostiniana. La venerazione per questa piccola suora di Cascia non accenna a diminuire, anzi s’intensifica con il tempo, accompagnata da guarigioni, conversioni, profumi e altro ancora.
A Santa Rita la vita non le risparmiò nulla:
- Giovanissima fu data in sposa ad un uomo iroso e brutale col quale ebbe due figli, tuttavia con il suo tenero amore e passione riuscì a trasformare il carattere del marito e a renderlo più docile.
- Santa Rita condivise la dura vita della gente del suo piccolo borgo.
- Il marito fu assassinato e nel giro di poco tempo anche i figli lo seguirono nella tomba.
- Ella però non si abbandono al dolore, alla disperazione, al rancore o al desiderio della vendetta, anzi riuscì in modo eroico a sublimare il suo dolore attraverso il perdono degli assassini del marito. Si adoperò instancabilmente per riappacificare la famiglia del marito con gli assassini, interrompendo cosi la spirale di odio che si era creata.
- Entrò in convento e lì visse gli ultimi 40 anni di vita in assidua contemplazione, penitenza e preghiera, completamente dedita al Signore.
- Santa Rita, 15 anni prima di morire, ricevette la singolare "spina" di quella piaga che le si stampò dolorosa sulla fronte, che incessantemente le procurò i terribili dolori e le sofferenze inaudite della coronazione di spine.
Santa Rita diffuse la gioia del PERDONO immediato e generoso, della PACE amata e per questo perseguita come bene supremo, dell'AMORE fraterno intenso e sincero, della estrema FIDUCIA in Dio piena e filiale, della CROCE portata con Cristo e per Cristo. Ella ci esorta quindi a fidarci di Dio perché si compiano in noi i disegni divini.
La forza di Santa Rita sta nella capacità di parlare ad ogni cuore, di partecipare a tutti i nostri problemi. Per quanto ti possa sentire infelice, rivolgiti con fiducia a Lei che non mancherà di trasformare le tue preghiere in suppliche ardenti e gradite al Signore. La Sua intercessione è cosi potente che il popolo devoto la chiama "Santa dei casi impossibili, avvocata dei casi disperati".
Santa Rita prosegui in questo cammino entusiasmante alla scoperta di questa umile donna che col suo esempio è ancora oggi la nostra grande maestra. Chiediamogli che interceda per le nostre tribolazioni, i bisogni e le angosce, ma innanzitutto che ci insegni l'accettazione della sofferenza senza compromessi, la capacità di perdonare di cuore e ci spinga a fissare il pensiero e il cuore in Dio "affinché tra le cose mutabili del mondo i nostri cuori siano fissi là dove c'è la vera gioia"
Luisa Piccarreta
Vita
Ecco un’altra grande e pur nascosta figura di vittima di espiazione, consumata sull’altare quotidiano del proprio letto di dolore, portando sul proprio corpo una sofferenza, che le precluse le gioie della cosiddetta felicità terrena, ma per rivelarle le gioie più gratificanti, della vita dello spirito unito con Dio.
Luisa Piccarreta nacque a Corato (Bari) il 23 aprile 1865, quarta delle cinque figlie di Vito Nicola Piccarreta e Rosa Tarantino. Trascorse la sua fanciullezza e adolescenza in una masseria agricola, di cui il padre era fattore, situata al centro delle Murge, in località Torre Desolata.
Ricevette la Prima Comunione e Cresima a nove anni e da quel momento imparò a rimanere in preghiera per ore intere; a undici anni si iscrisse all’Associazione delle Figlie di Maria.
Verso i tredici anni ebbe la visione di Gesù, che portando la Croce sulla via del Calvario e alzando gli occhi verso di lei, pronunziò: “Anima, aiutami”. Da allora si accese in lei un desiderio insaziabile di patire con Gesù le sue sofferenze, per la salvezza delle anime; a 16 anni fece il voto di offrirsi come vittima di espiazione.
Iniziarono per lei quelle sofferenze fisiche, dovute alle stimmate invisibili e agli attacchi del demonio, che aggiunte a quelle spirituali e morali, la portarono a vivere con eroismo le virtù cristiane.
Luisa per ricevere conforto ed aiuto per superare queste prove così sofferte, si rivolgeva con la preghiera alla Madonna. Subì fenomeni particolari, di cui il più eclatante fu quello che era soggetta ad una rigidità cadaverica, anche se dava segni di vita e non esistevano cure che potessero risolvere questa indicibile pena.
La famiglia si rivolse alla scienza medica, ritenendo questi fenomeni una malattia, ma come detto senza successo e allora fu interpellato un sacerdote, provvisoriamente ritornato nella sua famiglia, l’agostiniano padre Cosma Loiodice, il quale recatosi dall’inferma, tracciò un segno di croce su quel corpo immobile, che fra la meraviglia dei presenti, fece riacquistare all’inferma le sue normali funzioni.
Partito il padre agostiniano, ogni giorno veniva chiamato un sacerdote qualsiasi, che con un segno di croce la riportava alla normalità. Non fu compresa da tutti, anzi gli stessi sacerdoti la consideravano una ragazza esaltata, una nevrotica che voleva attirare l’attenzione degli altri su di sé.
Una volta la lasciarono in quello stato cadaverico per più di venti giorni; tutto questo era cominciato da quando si era offerta come vittima d’espiazione e ogni mattina al risveglio si trovava rigida, immobile, rannicchiata sul suo letto e nessuno riusciva a stenderla o farle fare qualche movimento; solo il segno della croce del sacerdote, riusciva a sbloccarla.
Non aveva un direttore spirituale, perché Gesù le parlava interiormente, correggendola e conducendola verso le vette più alte della perfezione cristiana. Quest’avvenimento non poteva passare inosservato, per cui una volta informato l’arcivescovo di Trani, mons. Giuseppe Bianche Dottula (1848-1892), avocò a sé il caso, delegando un confessore speciale per Luisa Piccarreta, nella persona di don Michele De Benedictus, il quale con la sua prudenza e saggezza, impose alla ragazza di Corato, dei limiti per cui non poteva fare niente senza il suo consenso; le ordinò di mangiare almeno una volta al giorno, anche se subito rimetteva il cibo ingerito.
Luisa doveva vivere solo della Divina Volontà. Padre Michele dal 1° gennaio 1889 le diede il permesso di rimanere a letto, dove rimase seduta per 59 anni, fino alla morte, ininterrottamente.
Il nuovo arcivescovo di Trani, mons. De Stefano (1898-1906) delegò come nuovo confessore di Luisa, don Gennaro De Gennaro, che lo fu per 24 anni. Questo sacerdote, intuendo il lavorio interno di Dio su quest’anima, le ordinò categoricamente di mettere per iscritto, tutto ciò che la Grazia Divina operava in lei.
Nonostante che avesse frequentato solo la prima elementare, Luisa Piccarreta cominciò il 28 febbraio 1899 a scrivere il suo diario, che consiste in un manoscritto raccolto in 36 volumi. L’ultimo capitolo fu scritto il 28 dicembre 1938, quando le fu ordinato di non scrivere più.
Ebbe dopo i primi due, altri due confessori sempre delegati dalla Curia arcivescovile, l’ultimo don Benedetto Calvi le fu vicino fino alla morte. All’inizio del Novecento incontrò sant'Annibale Maria Di Francia (1851-1927) un fondatore di Congregazioni di Messina, il quale fu suo confessore straordinario e censore dei suoi scritti, che venivano regolarmente esaminati ed approvati dalle autorità ecclesiastiche.
Sant'Annibale curò la pubblicazione dei suoi vari scritti, tra i quali ebbe successo il libro “L’orologio della passione”, stampato in cinque edizioni, le fece scrivere nel 1926, pure un quaderno di “Memorie d’infanzia”.
Il 7 ottobre 1928, si completò la costruzione a Corato della Casa delle suore della sua “Congregazione del Divino Zelo” e per adempiere al desiderio del fondatore (nel frattempo morto nel 1927 a Messina), Luisa Piccarreta fu trasferita in quel convento.
Dieci anni dopo tre dei suoi scritti furono messi all’Indice; quando seppe della condanna del sant’Uffizio, Luisa si sottomise subito al giudizio dell’autorità della Chiesa, consegnando all’incaricato romano tutti i diari manoscritti (ed oggi ancora conservati negli archivi vaticani) e riprovando lei stessa ciò che le veniva condannato negli scritti pubblicati.
Inoltre il 7 ottobre 1938, esattamente dopo dieci anni dalla sua entrata in quel convento, per disposizione dei superiori, dovette lasciarlo, sistemandosi in un’abitazione, dove trascorse gli ultimi nove anni della sua vita, assistita amorevolmente dalla sorella Angelina e da alcune pie donne.
Non possedeva quasi nulla e il lavoro al tombolo che faceva da tutta la vita, nei limiti delle sue possibilità fisiche, era appena sufficiente al sostentamento della sorella; lei invece i pochi grammi di cibo che mangiava, li rimetteva subito dopo.
Era un miracolo vivente, non aveva l’aspetto di una moribonda ma nemmeno di una persona sana, eppure non stava mai inoperosa. La sua giornata iniziava all’alba, quando arrivava il sacerdote a benedirla e celebrare la Messa (era un privilegio accordato da papa Leone XIII e confermato dal suo successore s. Pio X nel 1907).
Poi seguivano due ore di ringraziamento e preghiera e alle otto prendeva a ricamare; a mezzogiorno c’era il frugale pasto, come detto il più delle volte rimesso; nel pomeriggio vi erano alcune ore di lavoro, poi veniva recitato il Rosario e alle otto di sera iniziava a scrivere il suo diario e circa a mezzanotte si addormentava, per ritrovarsi al mattino di nuovo rigida, rannicchiata con la testa piegata a destra; sempre in preda a questo stranissimo fenomeno inspiegabile.
Dopo quindici giorni di malattia (l’unica clinicamente accertata) Luisa Piccarreta morì a Corato il 4 marzo 1947, nonostante tutto a 81 anni. Morì all’alba prima del risveglio, per cui rimase seduta sul letto nella posizione avuta per tutta la vita e pertanto non fu possibile stenderla e venne portata al cimitero in quella posizione.
I funerali videro la partecipazione di una immensa folla, dopo pochi anni i suoi resti furono traslati dal locale cimitero, nella parrocchia di Santa Maria Greca.
Con l’approvazione della Santa Sede del 28 marzo 1994, l’arcivescovo di Trani - Barletta - Bisceglie, mons. Cassati, aprì il processo diocesano per la sua beatificazione.
Il 29 ottobre 2005, con una solenne cerimonia nella Chiesa Matrice di Corato, l'Arcivescovo di Trani, Mons. Giovanni Battista Pichierri, ha concluso la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio, trasmettendo gli atti al competente dicastero della Santa Sede per il prosieguo dell'iter canonico.
MADRE SPERANZA
Vita
La Bibbia e la storia della Chiesa ci dicono che lo Spirito Santo concede continuamente e gratuitamente carismi o doni straordinari ad uomini e donne per il bene dell'umanità, secondo le necessità dei tempi.
Lungo i secoli può verificarsi che, parlando di Dio, si accentui più l'attributo della Sua giustizia che quello dell'amore; il quale amore, quando è rivolto verso la miseria dell'uomo, prende il nome di amore misericordioso.
Per ricondurci alla verità delle perfezioni divine, lo Spirito Santo concede ad alcune persone il dono di una particolare conoscenza ed esperienza dei misericordiosi comportamenti del Signore con l'uomo peccatore. Una di queste figure carismatiche è Madre Speranza Alhama di Gesù.
Madre Speranza è nata il 30 settembre 1893 a Santomera (Murcia), nel sud della Spagna.
Verso gli otto anni è accolta in casa del parroco di Santomera, dove viene educata dalle sue due sorelle. Nell'età giovanile cresce in lei il desiderio di consacrarsi al Signore per aiutare la povera gente ma la scelta dell'istituto religioso a cui appartenere richiede tempi lunghi.
A 21 anni entra tra le suore Figlie del Calvario, Istituto in via d'estinzione, aggregato più tardi alle suore Clarettiane.
Col passare degli anni in lei si notava con crescente gradualità il dono di una particolare conoscenza ed esperienza della misericordia di Dio; conoscenza che le veniva non tanto da libri o maestri, quanto direttamente dall'intimità con il "buon Gesù", come lei usava familiarmente chiamarlo.
Nella misura in cui Madre Speranza veniva a conoscere i misericordiosi atteggiamenti di Dio verso l'uomo peccatore, cresceva forte in lei il desiderio di annunciare a tutti che Dio non vuole essere considerato un giudice severo e pronto a condannare, ma un padre che attende il figlio prodigo per riabbracciarlo e fargli festa, il buon pastore che cerca la pecora smarrita, la ritrova, se la pone sulle spalle e, pieno di gioia, la riporta all'ovile.
In questa missione di far conoscere l'amore misericordioso di Dio per gli uomini, Madre Speranza è stata apostola instancabile con la vita, con gli scritti e con varie Opere, di cui ricordiamo le principali.
Nel 1930, in obbedienza alla volontà di Dio, fonda in Madrid le suore Ancelle dell'Amore Misericordioso, Congregazione che lei stessa più tardi potenzierà con il nuovo ramo delle Ancelle in abito secolare.
Insieme a queste sue figlie Madre Speranza farà conoscere la misericordiosa bontà del Signore con la testimonianza della vita e con la promozione delle persone più miserevoli: bambini orfani, anziani abbandonati, handicappati emarginati, malati senza cure e quanti altri si trovino in difficoltà per la loro limitatezza e fragilità fisica o morale.
Nell'aprile del 1936 Madre Speranza viene in Italia, a Roma, dove, durante la seconda guerra mondiale, si prodiga in tutti i modi per soccorrere feriti, aiutare perseguitati politici e sfamare ogni giorno centinaia e centinaia di persone.
Nel 1951 Madre Speranza fonda la Congregazione dei Figli dell'Amore misericordioso, il cui fine principale è promuovere l'unione fraterna con i sacerdoti, essendo essi destinatari e ministri della misericordia di Dio.
Qualche anno più tardi, mossa dal suo materno amore per i sacerdoti, realizzerà la più originale forma di unione tra i suoi religiosi ed il clero secolare, dando ai sacerdoti diocesani la possibilità di essere membri della sua Famiglia religiosa, pur restando incardinati ed in servizio nelle proprie diocesi.
Il 18 agosto dello stesso anno, per disposizione della divina provvidenza, si trasferisce con alcuni Figli e Figlie a Collevalenza, una frazione del comune di Todi, in provincia di Perugia.
Nel 1955, nella periferia di Collevalenza, in un bosco chiamato "Roccolo", Madre Speranza dà inizio alla costruzione del Santuario dedicato all'amore misericordioso del Signore.
In pochi anni il Santuario con le opere annesse (attività per sacerdoti, accoglienza pellegrini, pastorale familiare, pastorale degli ammalati) è divenuto un Centro di Spiritualità tutto rivolto all'annuncio dell'amore e della misericordia di Dio.
Nel contesto delle odierne minacce contro l'uomo si sente sempre più il bisogno di rivolgersi alla misericordia di Dio; l'uomo di oggi si convince e si converte più facilmente davanti all'amore fedele e disinteressato; la paura potrebbe bloccare la mente ed i sentimenti di molte persone, indipendentemente dalla loro età, religione o stile di vita.
Qui a Collevalenza Madre Speranza conclude la sua esistenza terrena all'età di novant'anni, il giorno 8 febbraio 1983.
Il Papa Giovanni Paolo II ha ricordato, nell'enciclica "Dio ricco di misericordia", che la scoperta dell'amore misericordioso del Signore è la sorgente più efficace per un'autentica conversione. Madre Speranza, con la sua vita e con il suo messaggio, ci aiuta a fare questa esperienza.
A chi desidera farsi un'adeguata immagine della dimensione spirituale di Madre Speranza e della sua Famiglia religiosa, che attualmente opera in Spagna, Italia, Germania, Brasile, Romania, Bolivia, India, Messico, Cuba, Perù:
• vedere una proiezione della durata di circa 20 minuti nel salone del Centro informazioni;
• consultare, nella sala ricordi, qualche pubblicazione sull'argomento che si vuole approfondire.
DIO AMORE MISERICORDIOSOAlcuni pensieri sull'amore misericordioso del Signore, che Madre Speranza chiamava "dottrina tanto nuova quanto Dio che è l'Eterno".
Dio, nell'insondabile mistero del Suo essere uno e trino, è circondato di luce inaccessibile; tuttavia noi possiamo conoscere le Sue perfezioni o attributi, fra i quali il più stupendo e fondamentale si chiama Amore. L'amore divino a contatto con la fragilità e miseria dell'uomo si manifesta e prende il nome di misericordia o di amore misericordioso.
Dio non ama al modo degli uomini, i quali preferiscono i buoni e rifiutano i cattivi.
Il Signore invece ama tutti con la stessa intensità e senza alcuna distinzione, al punto che l’uomo più perverso, il più perduto e miserabile, è amato da Lui con tenerezza immensa.
Il motivo di un simile amore, umanamente inspiegabile, sta nel fatto che il Signore ci ama perché Egli è l’amore infinito; Dio ci ama perché Lui resta fedele al Suo essere amore infinito, un amore più forte del nostro male e del nostro peccato.
Gli autori ispirati della Bibbia, quando parlano dell'amore di Dio, usano il vocabolo ebraico hesed, che significa fedeltà a se stesso, responsabile del suo amore; tale amore divino, diversamente da quello umano, scaturisce dalle perfezioni di Dio Amore infinito e non dalle qualità dell'uomo amato; per cui il Signore, nonostante le nostre offese, continua ad amarci con sollecitudine riabilitativa: ... era morto ed è tornato in vita ...; questa sollecitudine costituisce la misura del Suo Amore misericordioso.
Dio è un Padre tutto bontà, che cerca con ogni mezzo di confortare, aiutare e far felici noi suoi figli; ci cerca e ci segue con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di noi. Dio dissimula le nostre mancanze e ci attende a conversione con incredibile pazienza; diventa, umanamente parlando, come pazzo di gioia, quando torniamo a Lui dopo una vita disordinata, fosse pure in punto di morte, ... come è avvenuto al buon ladrone: "... oggi sarai con me in paradiso".
Alla luce di tale consolante verità, Madre Speranza diceva: "Se alla fine della mia vita dovessi essere giudicata da mio padre terreno, che mi voleva tanto bene, avrei paura! Non ho paura di essere giudicata da Dio: è un Padre cosi buono, comprensivo, misericordioso"! ... anche perché Dio conosce tutti i condizionamenti della vita, attenuanti, scusanti, circostanze... che riducono la nostra responsabilità; il Signore conosce il profondo squilibrio del cuore dell'uomo, il quale, fragile e peccatore, spesso fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe ...
Dio solo sa misurare il grado del male che compiamo, perché solo Lui sa quanto è grande la nostra ignoranza, quanto è forte la passione che ci acceca o l'ambizione che ci abbaglia, tanto che Gesù in croce ha pregato "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Se i giudici di questo mondo, conoscendo certe attenuanti, sanno fare tanti sconti nel giudicare, cosa non saprà fare per noi il Padre celeste che è l'Amore infinito, l'Onnisciente che sa tutto! Dio, per impedirci la sventura di morire chiusi al Suo amore, a volte ci tratta con rigore, non per vendicarsi, ma per correggerci e salvarci: misericordia non significa disinteresse o tolleranza. In Dio c'è anche la giustizia ma è a servizio del Suo amore per il nostro bene.
Tutte le perfezioni o attributi di Dio sono a servizio del Suo Amore per il nostro bene: si serve, ad esempio, della Sua sapienza per riparare i danni causati dall'abuso della libertà umana, traendo il bene dal male, la gioia dal dolore, la vita dalla morte.
Dio è per ogni uomo un Padre ed una tenera Madre.
Una mamma ama i propri figli non tanto perchè sono buoni o belli, ma soprattutto perché sono le sue creature che lei vuol far felici, mossa dall'interiore esigenza del suo essere materno; e quanto più un figlio è miserevole fisicamente o moralmente, tanto più le premure materne si accentuano e si moltiplicano.
Se anche si trovasse una madre che abbandona la propria creatura, non avverrà mai che il Signore si dimentichi di noi; anzi il Suo amore e la Sua sollecitudine crescono nella misura in cui noi diventiamo più miserevoli.
Nella Bibbia alcuni autori sono ispirati per farci intravedere come è fatto l'amore di Dio usando l'esempio dell'amore di una mamma per il figlio che porta ancora in grembo (in ebraico: rahamim = amore materno, da rehem = grembo materno); è un amore fedele perché sgorga dall'essere materno, è quindi una necessità interiore, invincibile; è un amore disinteressato, totalmente gratuito, perché non è ricambiato in alcun modo dal bambino, la cui presenza in grembo procura alla madre fastidi e preoccupazioni; è un amore personale perché l'amore di una mamma per ciascuna delle sue creature non diminuisce con l'aumentare del numero dei suoi figli; è un amore con sfumature di tenerezza, pazienza, comprensione, compassione, prontezza al perdono... È una variante quasi "femminile" della fedeltà maschile a se stesso, espressa da hesed.
Se l'amore di una mamma è così fatto, volete pensare che l'amore di Dio sia di meno?, sarà di più infinitamente, perché in Dio tutte le perfezioni sono infinite.
CHI VEDE GESU’ VEDE DIO AMORE MISERICORDIOSOLe divine perfezioni sono rese ancora più visibili in modo particolare da Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, con le Sue parole e con le Sue opere, ed infine, con la Sua morte in croce e la Sua risurrezione.
Mediante Gesù diventa particolarmente visibile Dio nella Sua misericordia; Gesù non soltanto parla della misericordia, specie con le parabole del figlio prodigo, buon pastore, buon samaritano, etc. ..., ma soprattutto Egli incarna la misericordia e la personifica; Egli stesso è la misericordia.
Per chi vede in Gesù l'amore misericordioso, Dio diventa particolarmente visibile quale "Padre ricco di misericordia".
"Chi ha visto me ha visto il Padre" dice Gesù all'apostolo Filippo che gli chiedeva: "Mostraci il Padre e ci basta".
Il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo, la fondamentale verifica della sua missione; la rivelazione del Padre da parte di Gesù raggiunge il suo culmine con la croce.
"Il Crocifisso parla e non cessa mai di parlare di Dio Padre, che è assolutamente fedele al Suo eterno amore verso l'uomo, poiché ha tanto amato il mondo - quindi l'uomo nel mondo - da dare il Suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna. Credere nel Figlio crocifisso significa "vedere il Padre", significa credere che l'Amore misericordioso è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l'uomo, l'umanità, il mondo - sono coinvolti". (cfr DM 7).
Beata Madre Elena Aiello
Vita
Nata a Montalto Uffugo, nel Cosentino, il 10 aprile 1895, Elena Emilia Aiello, cresce in un ambiente familiare esemplarmente cristiano. I suoi genitori, Pasquale e Teresa gestivano una sartoria ed erano buoni e onesti, sempre disponibili ad aiutare gli otto figli.
Buona e sveglia, a 4 anni ripeteva le formule del Catechismo e viene mandata presso le Suore del Preziosissimo Sangue per frequentare la scuola e seguire i corsi di Catechismo. Apprendeva con gioia la Parola di Dio tanto che le Suore, quando aveva 8 anni la facevano insegnare la Dottrina ai più piccoli.
Dopo la morte della mamma avvenuta nel 1905, Elena si adopera in famiglia come può, aiuta il papà nella sartoria, compie i lavori domestici e inoltre soccorre i poveri e gli ammalati.
Vuole diventare Religiosa e amare Dio nella sofferenza. Sceglie l'Istituto delle Suore Del Preziosissimo Sangue, ma cade ammalata grave, subisce dolorose operazioni senza anestesia che sopporta con fede eroica, viene espulsa dalla congregazione e rimandata a morire a casa, ma ∂ miracolata, e Gesù le dice che sarebbe guarita, ma il venerdì santo di ogni anno avrebbe sofferto le pene della croce. E' stato cos„ ogni anno. Elena sudava Sangue e sul suo corpo si formavano le stigmate che il sabato santo scomparivano miracolosamente.
Un'amica, Luigia Mazza, detta Gigia, era anch'essa desiderosa di farsi religiosa, e si consiglia con Elena. Le due si trasferiscono a Cosenza e fondano l' Istituto delle Suore Minime della Passione di N. S. Gesù Cristo.
Suor Elena sceglie per sè e le sue figlie come modello di vita la Passione di Gesù e il primato della carità testimoniato da S. Francesco da Paola.
Umiltà, carità e sacrificio sono le basi su cui Madre Elena edifica la sua famiglia religiosa che, si inserisce nella missione della Chiesa per risanare il tessuto sociale del suo tempo e soccorrere i fratelli più deboli e disagiati, in modo specifico l'infanzia bisognosa.
Infatti Madre Elena, istituisce per gli orfani alcuni istituti e, apre un Istituto Magistrale per garantire un futuro alle ragazze che devono abbandonare l'orfanotrofio.
Recatasi a Roma per l'apertura di una nuova casa, in via Dei Baldassini, vi muore il 19 giugno 1961.
Strepitosi miracoli e conversioni si verificano a partire dal giorno dopo la sua morte fino ad oggi. Madre Elena riposa nella Cappella di Casa Madre, in via dei Martiri 9 a Cosenza.
Giovanni Paolo II l'ha dichiarata Venerabile il 22 gennaio 1991.
Natuzza Evolo
Apparizioni di Paravati (Vibo Valéntia)
Nel periodo della Quaresima di ogni anno le stigmate di Natuzza si arrossano, si ingrandiscono e si aprono producendo perdite ematiche e sofferenza. Il sangue sgorgato genera sovente delle "emografie", raffigurando immagini sacre.
A partire dal 15 agosto 1938 la vergine apparve a Natuzza Evolo (1924), sposata con un falegname e madre di tre figli. La veggente è una persona umile e semplice; analfabeta, ma dotata di particolari carismi, con una intensa vita spirituale e con elevate doti mistiche vissute in povertà.
Ha ricevuto il dono delle stimmate ed ogni anno rivive sul suo corpo la Passione di Cristo in croce; suda sangue, che forma sulle garze o sulla biancheria delle scritte in varie lingue. Ha ricevuto il dono della bilocazione, che non avviene mai di sua spontanea volontà, ma come lei stessa chiarisce:" Mi si presentano dei defunti o degli angeli e mi accompagnano nei luoghi dove è necessaria la mia presenza".
La veggente opera guarigioni; parla lingue straniere pur non avendole studiate: è l'angelo che gliene dà la facoltà quando è necessario. Oltre la Madonna, ha visioni di Gesù, dell'angelo custode, di santi e di vari defunti, con i quali può dialogare. All'età di 10 anni le apparve san Francesco da Paola. Il 13 maggio 1987 ha fondato l'associazione "Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime", finalizzata all'assistenza per i giovani, handicappati e anziani. Quello di Natuzza è un messaggio di religiosità popolare; è la logica del Signore che parla ai poveri. Oltre Che Gesù, anche la Madonna ha dato a Natuzza molti messaggi. Quarantacinque anni fa le ha chiesto di costruirle una chiesa. Il 2 luglio 1968 le disse:"Prega per tutti, consola tutti perché i miei figli sono sull'orlo del precipizio, perché non ascoltano il mio invito di Madre, e l'eterno Padre vuol fare giustizia".
Il 17 aprile 1981 le spiega:"Se non fosse per voi anime vittime e per i bambini innocenti, Gesù avrebbe scatenato la sua ira"; e ancora il 15 agosto 1968:" Una giornata della tua sofferenza può salvare mille anime!".
Mentre il 1° aprile 1982 le annunciò che "Gesù è triste, tutto l'intero mondo rinnova la sua crocifissione; gli uomini pensano solo a tutto ciò che è terreno, trascurando le cose spirituali e quindi l'anima. Non si rendono conto che la vita terrena è breve; possono guadagnare tutto l'intero mondo, ma se non sono con Gesù perdono la loro anima. Pensate finché siete in tempo, perché Gesù è buono e misericordioso, però dice:" Non abusate della mia misericordia".
Il 13 marzo 1984 le annuncia:"Io sono l'Immacolata Concezione, figlia mia. Lo so che stai soffrendo...il Signore ti ha affidato un compito doloroso e difficile, ma non ti scoraggiare, c'è Lui che ti protegge e ti aiuta...Con la tua sofferenza salvi tante anime".
Notizie tratte dal libro:"Apparizioni mariane" di M.Gamba Ed. Segno
Natuzza Evolo, madre perfetta di cinque figli, è, nello stesso tempo, dotata del più straordinario carisma, da lei messo con umiltà e sacrificio al servizio del prossimo. Natuzza non evoca i defunti chiedendo loro di venire da lei, le anime le appaiono per loro stessa volontà con il permesso di Dio. Quando la gente le chiede messaggi o risposte particolari dai propri cari trapassati, lei risponde che ciò dipende soltanto dal Signore ed esorta a pregarLo affinché il permesso venga accordato.
Nata a Paravati, in provincia di Catanzaro, dove tutt’ora risiede, Natuzza mostrò fin da giovanissima i segni di una medianità particolare: sudorazioni ematiche non spiegabili scientificamente si trasformano, a contatto con bende o fazzoletti, in disegni e simboli di carattere sacro e in testi di preghiere non soltanto in italiano, ma anche in latino, greco, ebraico e in altre lingue. Le immagini e le figure mistiche consistono in Santi aureolati e semplici pellegrini, angeli, raffigurazioni della Madonna, ostie ed ostensori raggiati, calici, scale, porte, cuori, corone di spine e simili. Le scritture riproducono passi della Bibbia, inni, motti religiosi, Salmi, sentenze, versetti e preghiere. Il fenomeno della sudorazione ematica, continuo ed appariscente, diventa nella Evolo più evidente durante la Quaresima per l’aggiunta delle stigmate. Fin da bambina Natuzza, oltre a conversare con i defunti, ha manifestato fenomeni paranormali, tutti raccolti in numerosi scritti e confermati da medici e studiosi e da centinaia di testimoni.Una prova che Natuzza vede realmente gli angeli, consiste nella immediatezza, sicurezza, intelligenza ed esattezza delle sue risposte date a chi è invece del tutto incerto su quale sia la soluzione del problema che lo affligge. Questo tipo di verifica, concessa ad un’infinità di persone, comprende innumerevoli consulti di ordine medico forniti con grande precisione: risposte riguardanti la salute, lo stato delle infermità, la necessità di subire o meno operazioni chirurgiche, la maggior parte delle quali si sono rivelate esatte. Natuzza ha sempre affermato di attingere le sue informazioni dall’Angelo Custode, proprio o altrui e di ripetere esattamente quanto costui gli suggerisce. Le diagnosi mediche vengono effettuate dai defunti o da altre personalità, come ad esempio da parte di Padre Pio. Innumerevoli le persone che hanno acquisito una fiducia incrollabile nella sua capacità diagnostica, ma Natuzza ha sempre dimostrato disinteresse materiale per la propria opera, rifiutando ricompense e offerte. Essendo però a conoscenza di tanti casi di persone bisognose, è stata promotrice dell’Associazione Cuore Immacolato di Maria, che ha dato vita, con il contributo di tanti, ad un progetto di opera assistenziale per giovani portatori di handicap e anziani attraverso una grande struttura di accoglimento, gestita da un Consiglio di Amministrazione il cui presidente è il parroco di Paravati, don Pasquale Barone.
Fin dall’età di 10 anni, Natuzza incominciò ad avere delle piccole lesioni dolorose, piccoli fori nei polsi e ai piedi che apparivano spontaneamente senza una causa naturale. La bambina tenne per sé il segreto, solo il nonno ne fu partecipe medicandole le ferite. Con il trascorrere degli anni, le lesioni divennero più estese e più profonde, interessando anche la zona al di sotto della mammella sinistra e la spalla destra, ovvero tutti i punti dove la tradizione colloca le piaghe di nostro Signore Gesù Cristo. Perfino il marito, Pasquale, si avvide delle stigmate in direzione del cuore dopo molti anni dalla loro comparsa. Per lungo tempo la mistica nascose alla gente le sue piaghe, fino al 1965, quando non poté più negare l’evidenza.
Nel periodo della Quaresima di ogni anno le stigmate di Natuzza si arrossano, si ingrandiscono e si aprono producendo perdite ematiche e sofferenza. Il sangue sgorgato genera sovente delle "emografie", raffigurando immagini sacre.
La bilocazione di Natuzza avviene in vari modi, coinvolgendo tutti i sensi idonei a tale scopo, cioè per mezzo della vista e dell’udito, con l’audizione di voci e rumori, con percezioni di profumi, con sensazioni tattili e durante lo stato di sonno. Altre volte Natuzza lascia delle tracce oggettive del suo passaggio bilocativo modificando l’ambiente, producendo delle azioni fisiche permanenti, oppure, trasportando degli oggetti da un posto ad un altro. In alcuni casi eccezionali, le macchie di sangue rimaste sul luogo dello spostamento dell’oggetto hanno assunto la forma di emografie, dal chiaro significato simbolico. Tutti i fenomeni di Natuzza sono autentici - autentica la bilocazione e l’emografia - e sembrerebbero non rientrare nel campo naturale né in quello del paranormale. Natuzza non ha mai acconsentito a collaborare ad indagini parapsicologiche, ella considera infatti quello che le appartiene come doni mistici da custodire nell’umiltà. Una volta, un padre Gesuita volle conoscere Natuzza e si recò da lei in incognito indossando degli abiti civili. Parlò di varie cose e poi le disse che stava per sposarsi e che voleva un suo consiglio sulle nozze imminenti. Natuzza si alzò in piedi ed inchinandosi gli baciò la mano. Il gesuita stupito per quel gesto, chiese spiegazioni e Natuzza gli rispose: "Voi siete un sacerdote!" l’altro replicò cercando di mantenere l’anonimato, ma lei aggiunse: "Vi ripeto siete un sacerdote, un sacerdote di Cristo, lo so perché quando siete entrato ho visto che l’angelo vi stava accanto sulla destra. Mentre a tutti gli altri, i laici, l’Angelo è a sinistra".
In alcuni casi numerose persone hanno avvertito emanare dalla persona di Natuzza un profumo di fiori senza che vi fosse una spiegazione naturale. Il profumo sprigiona misteriosamente anche dagli oggetti da lei toccati: corone del rosario, crocifissi, ed immagini sacre regalate. Il profumo si sente, a volte per qualche istante, altre, a distanza di tempo, oppure è avvertito contemporaneamente e indipendentemente da più persone. Ed ha ha una sua specificità: emana anche in posti distanti dove non vi è alcun oggetto toccato precedentemente da Natuzza. È molto probabile che questo sia semplicemente l’odore della Santità, un dono straordinario che il Signore si compiace di dare ai suoi eletti.
Ritengo, conoscendola bene, che Natuzza possegga una mirabile virtù spirituale, nella grandezza della sua umiltà e carità e, che mette a disposizione di chi si affida alle sue preghiere, elargendo sollievo e conforto. Personalmente, allorché ci siamo incontrati, ha comunicato pace e serenità oltre a donarmi alcune emografie ed un crocifisso che lei stessa ha portato per 13 anni. Per me il bene più prezioso. I fenomeni di Natuzza non potranno mai essere spiegati dalla scienza, né oggi, né domani. La bilocazione con l’intrinsecazione a distanza del suo sangue va al di là dei limiti imposti dalle leggi della natura, così come i disegni emografici, che superano le barriere opposte dalle pieghe del fazzoletto, disponendosi in bell’ordine all’interno.
Le dolorose stigmate non sono spiegabili a livello fisiologico o patologico, la sua chiaroveggenza angelica - con un elevatissimo numero di successi e sempre orientata verso gli aspetti morali-religiosi - va ben al di là della chiaroveggenza paranormale. Sono innumerevoli le guarigioni e le diagnosi esatte che Natuzza pronuncia quotidianamente; un dono del Signore, che ha scelto lei, piccola donna dell’estrema punta Sud del nostro Paese, per comunicare agli uomini tutta la sua franchezza, tutta la sua misericordia.
Nicola Cutolo
Nel periodo della Quaresima di ogni anno le stigmate di Natuzza si arrossano, si ingrandiscono e si aprono producendo perdite ematiche e sofferenza. Il sangue sgorgato genera sovente delle "emografie", raffigurando immagini sacre.
A partire dal 15 agosto 1938 la vergine apparve a Natuzza Evolo (1924), sposata con un falegname e madre di tre figli. La veggente è una persona umile e semplice; analfabeta, ma dotata di particolari carismi, con una intensa vita spirituale e con elevate doti mistiche vissute in povertà.
Ha ricevuto il dono delle stimmate ed ogni anno rivive sul suo corpo la Passione di Cristo in croce; suda sangue, che forma sulle garze o sulla biancheria delle scritte in varie lingue. Ha ricevuto il dono della bilocazione, che non avviene mai di sua spontanea volontà, ma come lei stessa chiarisce:" Mi si presentano dei defunti o degli angeli e mi accompagnano nei luoghi dove è necessaria la mia presenza".
La veggente opera guarigioni; parla lingue straniere pur non avendole studiate: è l'angelo che gliene dà la facoltà quando è necessario. Oltre la Madonna, ha visioni di Gesù, dell'angelo custode, di santi e di vari defunti, con i quali può dialogare. All'età di 10 anni le apparve san Francesco da Paola. Il 13 maggio 1987 ha fondato l'associazione "Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime", finalizzata all'assistenza per i giovani, handicappati e anziani. Quello di Natuzza è un messaggio di religiosità popolare; è la logica del Signore che parla ai poveri. Oltre Che Gesù, anche la Madonna ha dato a Natuzza molti messaggi. Quarantacinque anni fa le ha chiesto di costruirle una chiesa. Il 2 luglio 1968 le disse:"Prega per tutti, consola tutti perché i miei figli sono sull'orlo del precipizio, perché non ascoltano il mio invito di Madre, e l'eterno Padre vuol fare giustizia".
Il 17 aprile 1981 le spiega:"Se non fosse per voi anime vittime e per i bambini innocenti, Gesù avrebbe scatenato la sua ira"; e ancora il 15 agosto 1968:" Una giornata della tua sofferenza può salvare mille anime!".
Mentre il 1° aprile 1982 le annunciò che "Gesù è triste, tutto l'intero mondo rinnova la sua crocifissione; gli uomini pensano solo a tutto ciò che è terreno, trascurando le cose spirituali e quindi l'anima. Non si rendono conto che la vita terrena è breve; possono guadagnare tutto l'intero mondo, ma se non sono con Gesù perdono la loro anima. Pensate finché siete in tempo, perché Gesù è buono e misericordioso, però dice:" Non abusate della mia misericordia".
Il 13 marzo 1984 le annuncia:"Io sono l'Immacolata Concezione, figlia mia. Lo so che stai soffrendo...il Signore ti ha affidato un compito doloroso e difficile, ma non ti scoraggiare, c'è Lui che ti protegge e ti aiuta...Con la tua sofferenza salvi tante anime".
Notizie tratte dal libro:"Apparizioni mariane" di M.Gamba Ed. Segno
Natuzza Evolo, madre perfetta di cinque figli, è, nello stesso tempo, dotata del più straordinario carisma, da lei messo con umiltà e sacrificio al servizio del prossimo. Natuzza non evoca i defunti chiedendo loro di venire da lei, le anime le appaiono per loro stessa volontà con il permesso di Dio. Quando la gente le chiede messaggi o risposte particolari dai propri cari trapassati, lei risponde che ciò dipende soltanto dal Signore ed esorta a pregarLo affinché il permesso venga accordato.
Nata a Paravati, in provincia di Catanzaro, dove tutt’ora risiede, Natuzza mostrò fin da giovanissima i segni di una medianità particolare: sudorazioni ematiche non spiegabili scientificamente si trasformano, a contatto con bende o fazzoletti, in disegni e simboli di carattere sacro e in testi di preghiere non soltanto in italiano, ma anche in latino, greco, ebraico e in altre lingue. Le immagini e le figure mistiche consistono in Santi aureolati e semplici pellegrini, angeli, raffigurazioni della Madonna, ostie ed ostensori raggiati, calici, scale, porte, cuori, corone di spine e simili. Le scritture riproducono passi della Bibbia, inni, motti religiosi, Salmi, sentenze, versetti e preghiere. Il fenomeno della sudorazione ematica, continuo ed appariscente, diventa nella Evolo più evidente durante la Quaresima per l’aggiunta delle stigmate. Fin da bambina Natuzza, oltre a conversare con i defunti, ha manifestato fenomeni paranormali, tutti raccolti in numerosi scritti e confermati da medici e studiosi e da centinaia di testimoni.Una prova che Natuzza vede realmente gli angeli, consiste nella immediatezza, sicurezza, intelligenza ed esattezza delle sue risposte date a chi è invece del tutto incerto su quale sia la soluzione del problema che lo affligge. Questo tipo di verifica, concessa ad un’infinità di persone, comprende innumerevoli consulti di ordine medico forniti con grande precisione: risposte riguardanti la salute, lo stato delle infermità, la necessità di subire o meno operazioni chirurgiche, la maggior parte delle quali si sono rivelate esatte. Natuzza ha sempre affermato di attingere le sue informazioni dall’Angelo Custode, proprio o altrui e di ripetere esattamente quanto costui gli suggerisce. Le diagnosi mediche vengono effettuate dai defunti o da altre personalità, come ad esempio da parte di Padre Pio. Innumerevoli le persone che hanno acquisito una fiducia incrollabile nella sua capacità diagnostica, ma Natuzza ha sempre dimostrato disinteresse materiale per la propria opera, rifiutando ricompense e offerte. Essendo però a conoscenza di tanti casi di persone bisognose, è stata promotrice dell’Associazione Cuore Immacolato di Maria, che ha dato vita, con il contributo di tanti, ad un progetto di opera assistenziale per giovani portatori di handicap e anziani attraverso una grande struttura di accoglimento, gestita da un Consiglio di Amministrazione il cui presidente è il parroco di Paravati, don Pasquale Barone.
Fin dall’età di 10 anni, Natuzza incominciò ad avere delle piccole lesioni dolorose, piccoli fori nei polsi e ai piedi che apparivano spontaneamente senza una causa naturale. La bambina tenne per sé il segreto, solo il nonno ne fu partecipe medicandole le ferite. Con il trascorrere degli anni, le lesioni divennero più estese e più profonde, interessando anche la zona al di sotto della mammella sinistra e la spalla destra, ovvero tutti i punti dove la tradizione colloca le piaghe di nostro Signore Gesù Cristo. Perfino il marito, Pasquale, si avvide delle stigmate in direzione del cuore dopo molti anni dalla loro comparsa. Per lungo tempo la mistica nascose alla gente le sue piaghe, fino al 1965, quando non poté più negare l’evidenza.
Nel periodo della Quaresima di ogni anno le stigmate di Natuzza si arrossano, si ingrandiscono e si aprono producendo perdite ematiche e sofferenza. Il sangue sgorgato genera sovente delle "emografie", raffigurando immagini sacre.
La bilocazione di Natuzza avviene in vari modi, coinvolgendo tutti i sensi idonei a tale scopo, cioè per mezzo della vista e dell’udito, con l’audizione di voci e rumori, con percezioni di profumi, con sensazioni tattili e durante lo stato di sonno. Altre volte Natuzza lascia delle tracce oggettive del suo passaggio bilocativo modificando l’ambiente, producendo delle azioni fisiche permanenti, oppure, trasportando degli oggetti da un posto ad un altro. In alcuni casi eccezionali, le macchie di sangue rimaste sul luogo dello spostamento dell’oggetto hanno assunto la forma di emografie, dal chiaro significato simbolico. Tutti i fenomeni di Natuzza sono autentici - autentica la bilocazione e l’emografia - e sembrerebbero non rientrare nel campo naturale né in quello del paranormale. Natuzza non ha mai acconsentito a collaborare ad indagini parapsicologiche, ella considera infatti quello che le appartiene come doni mistici da custodire nell’umiltà. Una volta, un padre Gesuita volle conoscere Natuzza e si recò da lei in incognito indossando degli abiti civili. Parlò di varie cose e poi le disse che stava per sposarsi e che voleva un suo consiglio sulle nozze imminenti. Natuzza si alzò in piedi ed inchinandosi gli baciò la mano. Il gesuita stupito per quel gesto, chiese spiegazioni e Natuzza gli rispose: "Voi siete un sacerdote!" l’altro replicò cercando di mantenere l’anonimato, ma lei aggiunse: "Vi ripeto siete un sacerdote, un sacerdote di Cristo, lo so perché quando siete entrato ho visto che l’angelo vi stava accanto sulla destra. Mentre a tutti gli altri, i laici, l’Angelo è a sinistra".
In alcuni casi numerose persone hanno avvertito emanare dalla persona di Natuzza un profumo di fiori senza che vi fosse una spiegazione naturale. Il profumo sprigiona misteriosamente anche dagli oggetti da lei toccati: corone del rosario, crocifissi, ed immagini sacre regalate. Il profumo si sente, a volte per qualche istante, altre, a distanza di tempo, oppure è avvertito contemporaneamente e indipendentemente da più persone. Ed ha ha una sua specificità: emana anche in posti distanti dove non vi è alcun oggetto toccato precedentemente da Natuzza. È molto probabile che questo sia semplicemente l’odore della Santità, un dono straordinario che il Signore si compiace di dare ai suoi eletti.
Ritengo, conoscendola bene, che Natuzza possegga una mirabile virtù spirituale, nella grandezza della sua umiltà e carità e, che mette a disposizione di chi si affida alle sue preghiere, elargendo sollievo e conforto. Personalmente, allorché ci siamo incontrati, ha comunicato pace e serenità oltre a donarmi alcune emografie ed un crocifisso che lei stessa ha portato per 13 anni. Per me il bene più prezioso. I fenomeni di Natuzza non potranno mai essere spiegati dalla scienza, né oggi, né domani. La bilocazione con l’intrinsecazione a distanza del suo sangue va al di là dei limiti imposti dalle leggi della natura, così come i disegni emografici, che superano le barriere opposte dalle pieghe del fazzoletto, disponendosi in bell’ordine all’interno.
Le dolorose stigmate non sono spiegabili a livello fisiologico o patologico, la sua chiaroveggenza angelica - con un elevatissimo numero di successi e sempre orientata verso gli aspetti morali-religiosi - va ben al di là della chiaroveggenza paranormale. Sono innumerevoli le guarigioni e le diagnosi esatte che Natuzza pronuncia quotidianamente; un dono del Signore, che ha scelto lei, piccola donna dell’estrema punta Sud del nostro Paese, per comunicare agli uomini tutta la sua franchezza, tutta la sua misericordia.
Nicola Cutolo
Vera Grita
OPERA DEI "TABERNACOLI VIVENTI"
Il grande dono di Gesù agli uomini d'oggi tramite Vera Grita
Nulla osta Savona 7 dicembre 1989 Mons. Giulio Sanguineti (Vescovo di Savona e Noli)
INTRODUZIONE
Vera Grita seconda di quattro sorelle nasce a Roma il 28.1.1923 da Amleto (fotografo da generazioni e vero artista) e da Zacco Marianna della Pirrera (di famiglia nobile), ben presto si trasferisce con la famiglia in Liguria, Savona. Muore a Pietra Ligure (SV) presso l'Ospedale di Santo Corona il 22.12.1969. La famiglia di Vera subì vari dissesti finanziari a causa della crisi incombente negli anni '30. Nel 1935, Vera con la sorella Liliana, viene mandata dai genitori in Sicilia (Modica) presso le zie paterne (tutte signorine, anzi una di loro si era fatta suora di Carità). Poco tempo dopo saranno raggiunte dalla maggiore delle sorelle: Pina, mentre Rosa, la più piccola, rimarrà con i genitori. A Modica, presso le sue care zie, Vera con le sorelle aveva proseguito gli studi fino al 1940, anno in cui si riunirà ai genitori che, nel frattempo, si erano trasferiti in Liguria (Savona). A Modica, presso le zie, signorine di alto rigore morale, Vera aveva completato la sua formazione religiosa su solide basi. Nel 1941 si diplomò a Savona, presso l'Istituto Magistrale locale. Il 25/9/1943, dopo lunghissime sofferenze, veniva a mancare il papà di Vera in seguito ad un male incurabile. Fu un vero immenso dolore in quanto quel papà che tanto aveva desiderato, non ebbe il tempo di starle accanto. "Sia fatta la Tua, non la Mia Volontà, Signore!" Così Vera rinunziava al proseguimento negli studi ed iniziava ad entrare nel mondo del lavoro. L'umile, sconosciuta maestrina savonese è la messaggera dell'Opera dei Tabernacoli Viventi. Un silenzioso, sofferente strumento nelle Mani dell'unico Grande Maestro: Gesù, il quale le dettò un'Opera d'amore sublime che in santa obbedienza scrisse e trasmise al suo padre spirituale e ad altri due sacerdoti salesiani designati dallo stesso Gesù. È un messaggio essenzialmente eucaristico, una donazione completa di Gesù ai fratelli disposti a divenire tempio nel quale Lui decide di abitare. L'Opera è diretta, soprattutto, ai Sacerdoti, perché essi sono: "Altri me stesso. Offriti per i Miei Sacerdoti" (mess. del 10.11.67). Ma chi era Vera Grita? Seconda di quattro sorelle si dimostrò sempre docile e sensibile ai problemi altrui. Fino ai vent'anni di età ebbe un fisico forte e robusto, ma nel settembre del 1943, in seguito ad un bombardamento aereo sulla città di Savona, venne calpestata e travolta da una marea di persone in preda al panico dinnanzi all'imbocco di una galleria-rifugio. Riportò lesioni irrimediabili dalle quali non guarì più; dapprima la pleurite traumatica, malcurata per mancanza di farmaci idonei all'epoca, in seguito risultò allergica a diverse cure. E fu un via via di complicazioni inspiegabili. Le malattie si moltiplicarono e così pure le operazioni. Nei periodi di apparente tregua, avendo conseguito il diploma magistrale ed essendo orfana di padre, si diede all'insegnamento elementare che ottenne in disagiate zone dell'entroterra ligure. Tutto accettava nella Santa Volontà di Dio. Alternava la scuola ai ricoveri ospedalieri e viceversa. Aveva da tempo rinunziato al suo fidanzato, rinunziò anche alla famiglia e agli affetti delle nipotine che adorava senza ribellarsi al crudele destino, ma in silenzio, senza mai un lamento guardò alto, verso Colui che la chiamava e la voleva tutta per sé. Così cresceva la sua fede ed aumentavano le sue malattie. Furono molti i pellegrinaggi a Lourdes e le offerte delle sue sofferenze per la conversione dei peccatori, ma soprattutto per i Sacerdoti, fino alla grande offerta di Vittima nella Grande Vittima.
6.10.1959 (Alpicella - Frazione Varazze)
Ad Alpicella, (una fra le prime sedi scolastiche) il 6.10.1959 ricevette un primo "dettato". C'è una chiamata dal cielo: il cielo che si china su una sua creatura per donarle nella tristezza la più grande Grazia. C'è Dio Padre, puro Spirito, che nella Sua Perfezione volge il Suo Sguardo di misericordia sulla più sconcertante imperfezione e la guarda attraverso un Lago d'oro: il Sacrificio della Vittima innocente, la S. Messa. Il cielo, manto dolce e tenero di Maria Santissima, si schiude e attira un'anima e Lassù, intanto, è gran vigilia di festa, festa dell'Amore, perché nessuna cosa trionfa in alto che non venga dall'Amore. Una povera anima avverte questo ineffabile dono e si smarrisce. Lontano e pur vicino si avvicina, si distingue il Divino che si appressa. La povera anima trema nella sua miseria che è forte e immenso è il suo Dio che la desta e a lei s'appressa. Altro non sa l'imperfetto che questa forza dolce che l'ha presa oggi più di ieri, che la chiama e la conduce là dove Egli è su questa terra, che la conduce a guardare lassù, lassù. Ed è lassù che il Padre emana, indefinito ma possente, la Sua Forza, il Suo richiamo. Infinito come Lui, infinito il Suo linguaggio: scava nell'anima e lascia il Suo Segno. Non sa nulla, l'anima cosa sia: sa che il Suo Padre l'ha degnata, l'ha guardata. Qui è il punto travolgente. Sospesa al Suo richiamo l'anima non sa guardare, ma là dove il misterioso linguaggio, fatto di motivi indicibili, è sceso a lei. E allora vorrebbe dire: cosa è, Padre mio, tutto questo? "È’ Amore, Figlia, Amore promessoti per Mio Figlio". Perché mi guardi così, Padre mio? "Perché nel Lago d'oro io ho visto la tua anima". Perché vivo, Signore? "Per morire due volte nel Mio Figliolo. Io sono Colui che è stato, è e sarà; chi osserva la Mia legge e mi segue avrà la vita eterna che Eterno e l'Eterno sono lo. Io sono il tuo Padre, il tuo Dio, lo sono la Voce che in te parla, ti scuote, ti salva. Benedetto Colui che viene nel Mio Nome e nel Nome del Mio Figliolo: lo gli aprirò le Mie Braccia e lo chiamerò Figlio e lo metterò a tavola con Me. Costui dovrà essere umile e pietoso, povero di sé stesso e ricco solo di Me. Costui dovrà presentarsi come un povero perché povero Egli è, lo lo pulirò e gli darò una veste nuova e lo introdurrò nella Mia Gloria. Allora sarà la grande festa. Oggi è incominciata solo la vigilia di questa. Umiliati e innalza lodi al Cielo che grande grazia sta venendo a te in Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel Nome di Colei che pianse tanto per te". Per anni non lo comprese a fondo, o, forse, l'anima già intuiva. Vera portò con sé molti segreti... Poi nel 1967 la "Voce" tornò a lei, povero, fragile strumento nelle Mani di Colui che la volle "Sposa di Sangue" per un disegno d'amore infinitamente grande da donare a tutti. Vera scriveva sotto dettatura spinta da una volontà superiore alla sua. Vera, anima infinitamente religiosa fin dall'infanzia, con fiducia si recò a Lourdes per chiedere alla Mamma Celeste un po' di sollievo ai suoi malanni, ma giunta là si offerse per i sofferenti e per l'umanità tutta. Ma la Santa Vergine in quell'occasione non la lasciò a mani vuote, e le donò qualcosa di veramente grande: il suo sorriso. "Lo credi possibile? - mi chiese. lo, allora, ero talmente lontana dal soprannaturale, con tristezza, pensai che le tante sofferenze cominciavano a darle alla testa. Solamente più tardi, alla sua morte, compresi a quale "segno" di grazia era stata chiamata ai piedi della grotta di Lourdes. Intanto il suo fisico deperiva sempre più, seguirono anni ed anni di dolori fisici e spirituali vissuti ed offerti in abbandono totale e di solitudine (le lettere che scriveva al suo padre spirituale sono il diario del suo lungo calvario e raggiungono vertici d'eccezionale espressione, nonché ci mettono a conoscenza delle sue estasi in Chiesa). "Vera di Gesù", (Ti voglio dare il Mio Nome - mess. 1.12.68) si consacra vittima per l'umanità e per la realizzazione dell'Opera dei Tabernacoli Viventi fino al "consumatum est" quando, dopo un'ennesima operazione, un ascesso al centro dello stomaco, diventa un foro dal quale versò tutto il suo sangue (non servirono le trasfusioni) e diventa, così "sposa di sangue" come Gesù stesso aveva predetto nel mess. dell'1 .7.68. La "voce" di Gesù a Vera si fece sentire negli ultimi tre anni della sua vita. Prima fu preparazione, rinunzia, sofferenza offerta e chiesta nel silenzio. Tuttavia, già nel 1959 era stato l'annuncio della "chiamata": "il Divino che si appressa". Vera, allora, non comprese, ma Dio, sappiamo, sceglie chi vuole e il messaggio profetico si sviluppa attraverso i "Suoi dettati" che operano nell'anima di Vera volontà di obbedienza, sacrificio e maggior consapevolezza del suo essere nulla. L'Opera dei Tabernacoli Viventi supera ogni concezione d'amore umano. Ma la Croce di Cristo non fu una follia d'infinito amore? La spiritualità dei Tabernacoli Vivienti, da qualche anno, viene portata avanti mensilmente, da un gruppo di anime presso la Basilica dell'Ausiliatrice di Torino (Valdocco) alla guida di un sacerdote. Si realizza, così, quanto la Madonna aveva detto a Vera presso la stessa Basilica in data 18.5.68: "Dì alle folle della gente che il momento è grave. Si salveranno solo per la mia intercessione. La Via ai Tabernacoli Vivente sono lo, l'Ausiliatrice. I superiori Salesiani debbono portare nel mondo e far trionfare la devozione a Gesù Eucarestia". Gesù raccomanda a Vera di mandare i Suoi messaggi lontano, lontano, perché dice: "Il tempo è breve. Tutto bisogna fare in fretta perché la umanità non può attendere. Gesù si immola e si consuma con le Sue anime perché la misericordia salvi, perdoni, raduni". Vivere, insomma, la Divina Realtà Eucaristica con Gesù sul cuore ogni attimo, ogni respiro per farlo ritornare in noi e con noi fra le genti, fra i popoli, presenza viva in ogni angolo della terra. Tutto sempre sotto la guida di Maria Nostra Madre che ci rincuora dicendo: "Al mondo sconvolto voglio dare Colui che è salvezza: Gesù. Tu, figlia mia, - dice a Vera - non temere. lo ti ascolto, lo ti vedo e ti seguo. So che temi l'inganno, ma lo, l'immacolata, schiaccio il capo del nemico" (mess. del 22.8.68). Di Vera Grita è stata già scritta la biografia dal direttore di un Istituto don Bosco di Roma: Don Giuseppe Borra (non più vivente. Cf. "Grita Vera", G. Borra, Editrice "Terzo Millennio", S. Maria Capua V. 194). Si spera, quanto prima, fare conoscere l'Opera dei Tabernacoli Viventi, nonché le sue lettere e quelle dei suoi sacerdoti e le testimonianza per meglio comprendere, alla Luce della Verità, quale effusione di Spirito Santo è stata donata a "Vera di Gesù" vittima e martire dell'Opera alla quale è stata chiamata fin dall'eternità. Infatti così le disse un giorno Gesù in un messaggio: "La Mia Voce è dono dello Spirito Santo. Se tu non sai spiegarlo né a te, né agli altri, dì, quando sarai interrogata, le parole del Santo Vangelo: "...e il Verbo si fece Carne ed abitò fra di noi". Gli altri capiranno!..." Liliana Grita Freccero
Ricoveri di Vera Grita nei vari ospedali e cliniche:
Ospedali Civili di Genova: dal 20.2.49 al 1.3.49 dal 5.11.49 al 29.11.49 dal 27.10.51 al 28.10.51 dall'8.4.57 al 12.4.57 dal 25.10.57 al 20.11.57 dal 6.10.60 al 27.10.60 per sospetto morbo di Addison' e iposurreanalismo. Clinica Villa dei Pini di Anzio: dal 22.8.55 al 23.11.56 (morbo di Addison). Istituto ospedalieri Santa Corona - Pietra Ligure (SV): dal 31.1.58 al 10.8.58 dal 14.7.59 al 20.8.59 dal 7.11.60 al 20.2.61 diagnosi: processo morboso cenitale avendo come punto di partenza una lesione pleurica di vecchia data. Ospedale Civico S. Paolo di Savona: febbraio 1959 intervento chirurgico di laparatomia. Ospedale Carlo Forlarini di Roma: brevi periodi estate 1961, aprile 1962, sempre il morbo di Addison, dimostrava scarsissima tolleranza ai farmaci. Clinica Due Riviere di Savona: Nel febbraio 1967 le viene tolto il dente del giudizio perché incluso e le viene spaccata la mascella. Le legano la bocca e può nutrirsi con una cannuccia. Vuole fare la S. Comunione e, non si sa come, i legamenti che le saldano i denti durante la notte si erano rotti. Prende la S. Comunione e. poi le fanno un caschetto di gesso. Quando glielo tolgono la mascella si è saldata in modo che non può più aprire la bocca e, quindi, masticare. Così altre sofferenze per riuscire a nutrirsi normalmente. Ospedali Riuniti di S. Corona - Pietra Ligure (SV): dal dicembre 68 al febbraio 69 (operazione) dal giugno 69 al 22 dicembre 69 (operazione liquido dal ginocchio); in quest'ultima data Vera muore dopo essere stata ripetutamente operata. Un ascesso al centro dello stomaco aprirà un foro che non si richiuderà più e causerà incessante emorragia, malgrado ogni trasfusione.